lunedì 22 novembre 2010

Immunità: la ratio?

Immunità: ogni tanto ci capita di imbatterci in questa parola leggendo sui giornali della condizione di "intoccabilità" accordata a qualche agente diplomatico straniero o a qualche parlamentare italiano. In una differente accezione lo troviamo anche impiegato in ambito medico per indicare un punto di evoluzione avanzato dello stato di difesa del nostro organismo, ma tale settore esula (ovviamente) dai nostri interessi.
Ci chiediamo: dal punto di vista giuridico cosa sono le immunità? Pur consapevole della complessità del tema, cercherò di fornire qualche elemento che possa aiutare a rispondere a questi quesiti. Riusciamo a mettere un po' d'ordine a questa definizione? Per non appesantire troppo l'articolo "spezzerò" il discorso in due parti: la prima dedicata alla ratio storica delle immunità, mentre nella seconda, che rimando ad un successivo post, andremo a "curiosare" intorno a quelli che sono gli effetti che esse in concreto esplicano nell'ordinamento. 
Se guardiamo alla sua più risalente e letterale accezione, immunità è la condizione di "chi è esente da obblighi" (dal latino, infatti, immunitas deriva da immune, in-munus, cioè non soggetto ad alcun obbligo, ufficio, dovere). 
Se cerco sul vocabolario Zingarelli tra le altre definizioni trovo anche quella che la identifica come una:
"speciale condizione di favore relativamente a eventuali procedimenti penali, assicurata a persone che adempiono funzioni e ricoprono uffici di particolare importanza (es. parlamentare, ecclesiastica, diplomatica)."

Questa, a ben vedere, non si discosta molto dalla definizione che le immunità assumono anche in ambito giuridico. Ma bisogna da subito operare una distinzione tra quelle immunità che derivano o, meglio, trovano la loro fonte nel diritto pubblico nazionale di ciascuno stato (ed esplicano i loro effetti all'interno di esso) e quelle che "nascono" nell'ordinamento internazionale pubblico e incidono prima di tutto sulle regole che disciplinano i rapporti fari i vari Stati.
La ratio che sta alla base della creazione di ciascuna delle due categorie è profondamente differente nonostante siano accomunate dal nome.

Le immunità c.d. interne nascono quando comincia ad affermarsi il principio della separazione dei poteri come necessario per il funzionamento corretto di uno stato di diritto e poi, democratico; sono regole che vengono create per tutelare questo assetto e quindi, per entrare in azione in quei casi di eventuali interferenze reciproche fra i tre tradizionali poteri dello stato (legislativo, esecutivo e giudiziario).
Ma come eliminare gli effetti delle interferenze tra poteri?  Proteggendo le persone fisiche che li incarnano. Questo il percorso logico di fondo dal quale traggono vita tutte le immunità concesse, ad esempio, dalla Costituzione italiana, al Presidente della Repubblica, ai deputati e ai senatori, ai ministri, ai giudici della Corte Costituzionale e ai membri del Consiglio Superiore della Magistratura.
Pur comprendendone e, forse, condividendone la necessità, non si può dimenticare che tali regole si configurano come una deroga eccezionale al fondamentale principio di uguaglianza, sancito dall'articolo 3 della nostra Costituzione, ed è per questo motivo che tutte le immunità previste nel nostro ordinamento trovano la loro fonte nella stessa carta costituzionale.

Le immunità c.d. internazionali hanno ratio, fondamenti differenti.
Fin da tempi antichi tutti i popoli sentivano l'esigenza che il proprio sovrano o capo, catturato in battaglia, non venisse giustiziato o che il messaggero, inviato per parlamentare al campo nemico, fosse protetto, magari da qualche regola di diritto. Questi comuni sentimenti prendono una forma più netta nel 1600, quando gli stati europei si affermano come enti indipendenti e sovrani, sul proprio territorio e popolo, in condizione di assoluta parità fra di essi. Si comprende facilmente, perciò, come in quella società, nella quale gli stati si consideravano ugualmente sovrani, a maggior ragione si sentisse l'esigenza di regole che impedissero la giurisdizione e la condanna tra di essi. E le invocate, regole si crearono. Andarono a proteggere, oltrechè gli stessi stati in quanto enti collettivi, anche quelle persone che, incarnando la sovranità degli stessi, li rappresentavano nelle relazioni internazionali. Consapevolmente ho scritto "si crearono" perché le immunità internazionali appartengono al primo nucleo di norme di diritto internazionale consuetudinario.
Questo tipo di regole sono caratterizzate da due elementi: diuturnitas ( ripetizione nel tempo di un comportamento) e opionio iuris ( convinzione che quel comportamento sia obbligatorio giuridicamente).
In poche parole gli stati avevano così a cuore la affermazione del principio "par in parem non habet jurisdictionem" che lo applicarono costantemente nelle loro relazioni, come se obbedissero ad una legge: in questo modo quella legge stessa si creò.
 Da lì fino ad oggi uno degli obbiettivi di fondo delle relazioni internazionali è stato quello di preservare tale assetto paritario, tant'è che le regole sulle immunità internazionali valgono tutt'oggi e sono, per la maggior parte, "codificate" (cioè trasposte) in trattati fra gli stati.
Tra l'altro, con la progressiva evoluzione della comunità internazionale, queste regole si sono estese anche a soggetti diversi dagli Stati  e dai loro organi andando a coprire l'operato, ad esempio, di esponenti di organizzazioni internazionali (vedi il segretario delle N.U.)

Immunità internazionali e interne sono, quindi, venute al mondo da madri diverse, ma nonostante questa distinzione entrambe le categorie producono i loro effetti principali sul piano del diritto penale statale. Sarà questo ciò di cui parlerò nel prossimo articolo.


Per un articolo in cui si attualizza il tema delle immunità parlando del cd Lodo Alfano potete andare  QUI

Per un articolo in cui ci si chiede se il principio di uguaglianza esista veramente, leggete: Il tradimento è genetico?

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