mercoledì 10 novembre 2010

Espulsione dei ROM legittima per la Francia?

Abbiamo letto sui giornali (di non molto tempo fa) degli episodi di espulsione di cittadini romeni (cosiddetti ROM) dalla Francia. Dal punto di vista politico è stata una scelta duramente e apertamente criticata  sia dalla Commissione europea, nella figura di Vivienne Reeding, sia dal Vaticano. Vicenda questa che al di là delle reazioni politiche ufficiali, ha suscitato un ampio dibattito attorno a sè nel nostro stesso paese. I quotidiani hanno riportato numerose opinioni e hanno dato grande rilievo alla procedura di infrazione avviata contro la Francia successivamente alle espulsioni (la quale tra l'altro si è conclusa subito con una "assoluzione"). Ciò che non è stato toccato invece, e che qui cercherò di portare alla luce, sono i meccanismi giuridici grazie ai quali la Francia ha potuto legittimamente tenere un simile comportamento.
Il trattato di adesione (cioè l'accordo che permette a nuovi stati di entrare a fare parte della UE) per la Romania e la Bulgaria è stato stipulato nel 2005 ed è entrato in vigore nel 2007.
In un suo protocollo (atto allegato al trattato principale della medesima efficacia) era inserita una c.d. clausola di salvaguardia, cioè una norma che consentiva agli stati già membri di adottare, nei confronti dei cittadini dei due paesi entranti, misure transitorie in deroga rispetto a quelle previste in generale dai trattati (in questo caso i principi che venivano in rilievo per la deroga erano quello di parità di trattamento e di libera circolazione dei cittadini della UE). 
Nel protocollo erano però posti limiti generali di durata e contenuto. 
In particolare, temporalmente era consentito adottare tali misure derogatorie per un periodo complessivo di 7 anni (dal 2007 al 2013) suddiviso in tre scaglioni (2+3+2). Al primo periodo di due anni si aderiva "automaticamente" e quindi, semplicemente introducendo tali misure di protezione nell'ordinamento interno, ciascuno stato dichiarava implicitamente la sua volontà di avvalersene; differentemente per "sfruttare" il secondo periodo è necessaria una comunicazione del governo contenente una dichiarazione sulla volontà di continuare ad applicare la disparità di trattamento, anche se non sono necessarie ulteriori giustificazioni; il terzo periodo (2011-2012), abbisognerà anch'esso di una comunicazione in tal senso ma essa dovrà essere motivata sulla base di un temuto grave turbamento del mercato interno.
Contenutisticamente le deroghe sono state concesse nel mercato del lavoro subordinato (con l'esclusione quindi del lavoro autonomo).
Nel rispetto di tali limiti generali ciascuno stato ha poi proceduto, sulla base della possibilità data dal trattato di adesione, alla adozione di  specifiche misure ritenute necessarie per salvaguardare il proprio mercato del lavoro interno dall'ingresso di manodopera a basso costo nel suo territorio.  
Date queste premesse romeni e bulgari si possono, formalmente, definire sì "cittadini UE" ma a condizione di libertà di circolazione derogata per motivi di lavoro (cioè sostanzialmente essi per i mestieri e per il tempo eventualmente individuati da ciascuno stato, sono considerati come se fossero cittadini extracomunitari, necessitando quindi il visto per l'ingresso) 
L'Italia ha fatto scelte "generose": dal punto di vista temporale il governo del 2005 ha scelto di avvalersi dei primi due anni (2007-2008) in via "automatica" e dei successivi tre (2009-2011) di fornire la comunicazione distintamente un anno dopo l'altro; dal punto di vista settoriale sono stati individuati aree in cui espressamente è data la parità di trattamento (e quindi romeni e bulgari sono trattati come cittadini europei e non extracomunitari) e tra questi sono stati inclusi tutti i settori "sensibili" per quei soggetti, tra gli altri l'area dell'edilizia, del lavoro domestico (es. colf), dell'assistenza alle persone (es. badanti) e del turismo. Tali scelte hanno consentito un grande afflusso di lavoratori e in generale di cittadini dai due nuovi paesi membri.
La Francia invece ha adottato una politica differente, decisamente più restrittiva. 
Fin dall'inizio, nel 2007, il governo francese, da un lato, ha dichiarato di essere intenzionato di avvalersi di tutto il periodo dei 7 anni concesso dalla clausola di salvaguardia (anche se, come ricordato, alla scadenza dei primi 5 anni dovrà dimostrare il timore di gravi perturbazioni del mercato interno del lavoro per ottenere l'ultima proroga) e, dall'altro, ha permesso i datori di lavoro di chiamare e assumere romeni e bulgari solo per singoli "mestieri" (questa volta escludendo sì quelli "sensibili") e, sopratutto, in limiti numerici stringenti.
Le espulsioni sono avvenute in Francia per i romeni in "esubero", cioè per tutti coloro che si trovavano nel paese in eccesso rispetto ai limiti fissati per l'ingresso dalla legge francese adottata per la tutela del mercato del lavoro sulla base dello stesso diritto comunitario. 
Il comportamento del governo francese, pur se si può discutere essere condannabile sul piano politico, è stato, dal punto di vista giuridico, perfettamente legittimo e senza violazione di alcun diritto, per di più avvenendo contro soggetti "illegalmente" presenti nel territorio francese.
Al contrario in Italia, per i motivi sopra descritti, non si sarebbe potuto procedere in modo analogo nonostante siano state fatte affermazioni contrarie.
Spero, con questo articolo, di aver messo nuova luce su affermazioni come quelle di Bernard Valero, portavoce del governo francese, come riportate, tra gli altri quotidiani, dal Corriere della Sera: "Le misure decise dalle autorità francesi (le espulsioni) sono pienamente conformi alle regole europee e non portano alcun attacco alla libertà di circolazione dei cittadini dell'Ue, come definite nei trattati».
Detto questo possiamo forse interrogarci sulla opportunità "umana", ancor prima che politica, di tenere un tale comportamento.

Riporto il QUI il link per l'articolo del Corriere citato, dal quale si può accedere ad ulteriori pagine che trattano questo problema.  

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