martedì 26 luglio 2011

Il principio della colpevolezza nell'Iliade e nell'Odissea

I poemi omerici - l'Iliade e l'Odissea - conosciuti sin dall'infanzia per le epiche gesta dei famosi eroi in essi protagonisti, non mancano di fornire spunti intorno alla disciplina di cui ci occupiamo: il diritto.
Sebbene la loro datazione sia oggetto di discussione (si pensa che siano stati scritti intorno al IX secolo a.C.) essi costituiscono la prima fonte di letteratura mediterranea nell'area dell'antica Grecia. Sicuramente prodromici per i racconti mitici, sono stati anche anticipatori di alcuni concetti giuridici? Ebbene si. 

Nei due poemi sono rinvenibili i primi passi che l'individuo ha compiuto verso la propria autodeterminazione, un cammino verso la coscienza di essere "soggetti" titolari di libero arbitrio.

Il protagonista dell'Odissea Ulisse, tornato dopo 20 anni di viaggio in veste di mendicante nella reggia di Itaca, impone a se stesso di controllare lo sdegno che lo assale scoprendo che le sue ancelle lo tradiscono accoppiandosi spudoratamente con i Proci, in sua assenza arroganti pretendenti alla mano di sua moglie Penelope. Vorrebbe reagire, vorrebbe vendicare immediatamente il torto, ma si trattiene. Un comportamento di autocontrollo ben diverso dall'irrazionalità e dalla forza che contraddistingueva gli eroi tradizionali. Come ha scritto Eva Cantarella, giurista e scrittrice italiana:  
"al contrario dei personaggi dominati dal destino, il protagonista dell'Odissea apre a Itaca la strada alla morale e al diritto". 
L'uomo di quei secoli normalmente non solo non riusciva a controllare i propri istinti ma attribuiva la responsabilità delle sue azioni - le azioni riprovevoli - agli dei o ad altre forze soprannaturali (ad esempio il destino) di fronte alle quali nessuno può opporre la propria volontà. Non solo non era capace di autocontrollarsi, ma non sapeva neppure autodeterminarsi, non avendo (in realtà li aveva ma pensava di non averli) nè volontà nè libero arbitrio. Come una pedina di altrui decisioni e forze compiva atti involontariamente e ne subiva le conseguenze, essendone però responsabile, potremmo dire oggi, in modo obiettivo
Nell'Iliade Elena ha seguito Paride a Troia per volere di Afrodite, non per sua volontà, ma soffre tremendamente per i lutti causati e si sente responsabile delle stragi tra greci e troiani. In generale quindi l'individuo omerico non percepisce ancora se stesso come un soggetto capace di agire autonomamente e liberamente.
Sempre nei due testi epici si ritrovano anche i primi concetti di non responsabilità e punibilità per gli atti compiuti. In alcuni casi, chi ha agito involontariamente non subisce le conseguenze delle sue azioni (non ha nessuna pena) in quanto non è colpevole.  Ad esempio Femio, l'aedo che vive alla corte di Itaca, ha cantato per i Proci (durante l'assenza del suo re), ma l'ha fatto costretto, per necessità: dunque è incolpevole. In Omero, insomma, esistono già i concetti di "colpevolezza" e di "responsabilità".
Gli uomini e le donne omerici faticosamente cercavano di conquistare - e lo si legge bene nei poemi - la coscienza della propria libertà e la conseguente percezione di se stessi come soggetti (autonomi dagli dei).
Il poema omerico pone così le basi per uno dei principi che diverrà cardine nel diritto moderno, quello  che pone la colpevolezza alla base della responsabilità. Sempre secondo la famosa esperta di diritto antico "la lezione dell'eroe omerico: è responsabile chi fa il male volontariamente".   


Per un recente articolo sui principi di diritto ricavabili dalla storia di Giasone e Medea potete leggere: "Principi di diritto nel mito di Medea"


Collegamento ad un articolo non sul mito ma sulla sovranità e il binomio con la legalità sempre nella letteratura: L'ambiguità della sovranità

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