giovedì 18 novembre 2010

La "giurisprudenza" come fonte del diritto

Per comprendere se annoverare la giurisprudenza tra le fonti del diritto del nostro ordinamento è necessario chiarire che cosa s’intenda per “fonte del diritto”.Tale locuzione è stata definita come
 “l’atto o il fatto cui l’ordinamento giuridico conferisce idoneità a produrre norme giuridiche, e ad innovare l’ordinamento stesso”. 
Dunque è l’ordinamento a qualificare le fonti come tali. Infatti è esso stesso che deve indicare le modalità attraverso cui può essere prodotto il diritto.
Tra tali fonti viene posta una distinzione tra “fonti di produzione” e “fonti sulla produzione”. Le prime introducono direttamente nel sistema giuridico le regole di comportamento, invece, quelle sulla produzione svolgono un “ruolo strumentale”, indicando il soggetto, il procedimento e l’atto attraverso il quale tali regole possono essere poste.
La giurisprudenza è dunque una “fonte di produzione” o “sulla produzione”?
Considerando la giurisprudenza come l’insieme delle decisioni dei giudici, è possibile escludere che sia una “fonte sulla produzione”. Infatti, essa non prevede meccanismi in base ai quali si producono norme. Più interessante è invece capire se essa sia una “fonte di produzione”.
Secondo l’impostazione più tradizionale, nel nostro ordinamento, come in tutti quelli di civil law, la giurisprudenza non svolge tale ruolo. Essa si limiterebbe ad applicare sillogisticamente al caso concreto la norma giuridica senza nulla aggiungere a questa e in tal senso si vorrebbe leggere la norma dell’art. 101 della Costituzione:
i giudici sono soggetti soltanto alla legge
Tale impostazione oggi risulta superata da tesi che ad essa si contrappongono.
Da quanto affermato da Trimarchi, Professore di diritto civile all’Università di Milano, nell’interpretare con varie tecniche la norma giuridica e i contratti, i giudici svolgono un ruolo non più di meri applicatori meccanici della legge, ma di sussidio ed integrazione di quest'ultima. Tale punto di vista è riaffermato anche dal Prof. Di Diritto Costituzionale Zanon dell’Università di Milano che afferma: 
"il giudice non è più bocca della legge, in quanto l’oscurità del diritto rivela la falsità del dogma della completezza dell’ordinamento e costringe il giudice a compiere operazioni interpretative sempre più sofisticate". 
Ribadendo pertanto che:
“il diritto di origine giurisprudenziale si affianca alla legge prodotta dagli organi a ciò legittimati”.
In tal  modo il nostro ordinamento giuridico si avvicina a quelli di common law, nei quali il diritto si forma attraverso la giurisprudenza. Pur non essendoci nel nostro ordinamento un principio che vincola i giudici al “precedente”, come invece accade nei sistemi di common law, è possibile riscontrare manifestazioni che ne indicano, se non l’obbligatorietà, l’autorevolezza.
Basti pensare al rilievo che hanno nella pratica le “massime consolidate” delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e le sentenze, soprattutto quelle “interpretative”, della Corte Costituzionale. 

EP

Il tema dell'interpretazione giuridica è stato affrontato anche filosoficamente in quest'altro interessante articolo: Humpty Dumpty e Alice: protagonisti del diritto

Collegamento ad un articolo del blog su un altro genus di fonte di norme giuridiche: L'analogia come fonte del diritto?

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3 commenti:

  1. Quindi, la legge non è uguale per tutti?

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  2. Certamente la legge non è uguale per tutti, infatti se questa massima, che trovi scritta in ogni aula di tribunale, venisse realmente attuata porterebbe ad assurdo...L'idea è che la legge debba trattare in modo diverso situazioni diverse: questo è il contenutp del principio di uguaglianza. All'interno di queste "categorie" di casi si deve cercare di applicarla nel modo più omogeneo possibile e questo non sempre viene fatto a volte per scelta altre per errore o impreparazione...in ogni caso l'interpretazione, che porta a discrezionalità, gioca un ruolo importante ed inevitabile in questo percorso applicativo...io penso meno male che la legge non è uguale per tutti perché sennò vi sarebbero grandi ingiustizie nei casi concreti!

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  3. Le leggi sono disposizioni autoritative che statuiscono le modalità da utilizzare per una convivenza civile, quindi é perentorio che tali norme siano certe, omogenee, umiformi e comprensibili da tutti i soggetti a cui tali disposizioni si applicano. Ne consegue incontrevertibilmente che solo le norme prodotte dall'autorità preposta per legge ad attuare l'iniziativa delle leggi hanno reale valore dispositivo ed hanno piena valenza autoritativa. Ma questo paese é permeato da un impulso assoluto al personalismo ed all'adattamento soggettivo della realtà alle proprie convinzioni e nozioni. Ora i giudici, sono schiavi della legge, am!inistrano la giustizia e pronunciano secondo diritto. Per cui, tralasciando pulsioni filosofiche,aspirazioni ermeneutiche, aspirazioni esegetiche, affinché la legge adempia al compito che le ha attribuito il legislatore senza che si attui un sovvertimento della costituzione dello Stato le leggi vanno applicate in base alla sola interpretazione letterale perché é l'unica a garantire scientificamente il corretto rispetyo della volontà dell'autorità. Per tanto se si dissente dal contenuto della norma non si altera il sistema definito dall'autorità preposta a creare le norme (Governo, Camere, Regioni e Popolo) ma ci si rivolge all'autorità perché valuti e se lo ritiene necessario provveda. I Giudici non hanmo ne la formazione ne la condizione per esercitare l'iniziativa delle leggi.

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