In occasione di molti processi i nostri giudici nazionali non sono lasciati soli nel risolvere una controversia, bensì possono usufruire del supporto - autorevole e competente - della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Ma come avviene questo "lavoro d'equipe"?
E' proprio l'Unione Europea che ha sancito un meccanismo di controllo giurisdizionale, fondato sulla collaborazione tra giudici nazionali degli Stati membri (attualmente 27) e Corte di Giustizia. E' sul “dialogo” tra questi soggetti che poggia e continua a svilupparsi il processo di integrazione tra ordinamenti interni degli Stati membri e ordinamento dell’Unione Europea.
Il contatto più ravvicinato tra i giudici si attua con il meccanismo del "rinvio pregiudiziale" (previsto dall'art. 267 TFUE, trattato sul funzionamento dell'Unione Europea), ovvero una procedura che consente ad una giurisdizione nazionale di interrogare la Corte di Giustizia tramite due quesiti diversi.
1. il giudice italiano chiede alla CGUE l'interpretazione corretta di una norma europea, per comprendere in primo luogo se debba avere efficacia diretta nel nostro ordinamento, ostando in tal caso all'applicazione di una norma interna (italiana) in contrasto con essa;
2. il giudice presenta fondati dubbi sull'invalidità di una norma "comunitaria" e chiede alla CGUE di pronunciarsi a riguardo.
Qui trattiamo solo del primo caso, sicuramente il più diffuso.
Ebbene può accadere che il giudice interno ad uno Stato membro, nel contesto di una controversia a lui sottoposta, si imbatta in una norma europea da applicare al caso concreto apparentemente incompatibile con il diritto nazionale vigente. E per risolvere il suo fondato dubbio - norma nazionale o norma UE? - decide allora di ricorrere alla Corte di Lussemburgo per chiedere chiarimenti e, in attesa della risposta, sospende il processo a quo. La Corte, se riscontra i requisiti necessari, può statuire che la norma di origine europea abbia efficacia diretta e debba perciò essere applicata dal giudice italiano, in sostituzione della norma italiana con essa incompatibile.
Ma perché esistono norme diverse e incompatibili allo stesso tempo? Non è una contraddizione?
Si tratta di disposizioni appartenenti a due ordinamenti distinti, seppur coordinati e integrati: l'ordinamento giuridico italiano e quello europeo. E derivano da legislatori differenti, vengono poste in essere in tempi diversi e può capitare quindi, per questa serie, di motivi una discrasia tra le stesse.
1. il giudice italiano chiede alla CGUE l'interpretazione corretta di una norma europea, per comprendere in primo luogo se debba avere efficacia diretta nel nostro ordinamento, ostando in tal caso all'applicazione di una norma interna (italiana) in contrasto con essa;
2. il giudice presenta fondati dubbi sull'invalidità di una norma "comunitaria" e chiede alla CGUE di pronunciarsi a riguardo.
Qui trattiamo solo del primo caso, sicuramente il più diffuso.
Ebbene può accadere che il giudice interno ad uno Stato membro, nel contesto di una controversia a lui sottoposta, si imbatta in una norma europea da applicare al caso concreto apparentemente incompatibile con il diritto nazionale vigente. E per risolvere il suo fondato dubbio - norma nazionale o norma UE? - decide allora di ricorrere alla Corte di Lussemburgo per chiedere chiarimenti e, in attesa della risposta, sospende il processo a quo. La Corte, se riscontra i requisiti necessari, può statuire che la norma di origine europea abbia efficacia diretta e debba perciò essere applicata dal giudice italiano, in sostituzione della norma italiana con essa incompatibile.
Ma perché esistono norme diverse e incompatibili allo stesso tempo? Non è una contraddizione?
Si tratta di disposizioni appartenenti a due ordinamenti distinti, seppur coordinati e integrati: l'ordinamento giuridico italiano e quello europeo. E derivano da legislatori differenti, vengono poste in essere in tempi diversi e può capitare quindi, per questa serie, di motivi una discrasia tra le stesse.
Ma da cosa discende questa difficile coesistenza tra norme interne di uno Stato membro (es. Italia) e norme dell'Unione Europea? Come possono le norme di quest'ultimo essere applicate in Italia e anche prevalere? E' compito dei giudici nazionali dare applicazione alle norme che discendono dai Trattati dell'Unione o prodotte dalle sue istituzioni. E qualora questi giudici abbiano dubbi sull'interpretazione di una disposizione europea e sul suo ambito di efficacia, chiedono proprio aiuto all'organo che più di tutti garantisce l'uniformità e l'effettività del diritto dell'Unione: la Corte di Giustizia.
"Il rinvio pregiudiziale ha avuto e continua ad avere carattere trainante del sistema dell’Unione, permettendo una sempre maggior convivenza tra due "razze" di norme diverse: europee e italiane. Una integrazione agli inizi vista come inattuabile ma che la sinergia tra le due autorità giurisdizionali in questione ha migliorato, diminuendone i profili di criticità." (Giudice della Corte Costituzionale, G. Tesauro)
A seguito della risposta del Lussemburgo il giudice a quo è vincolato e dovrà nel caso disapplicare la norma interna incompatibile e applicare quella europea. Saranno vincolati anche tutti i giudici degli altri Stati membri a quella stessa interpretazione data dalla CGUE, perché si tratta di una pronuncia su punti di diritto con la stessa diretta efficacia delle norme interpretate.
Da cosa deriva questa prevalenza del diritto europeo sulla norma nazionale? Perché una norma estranea al nostro ordinamento può avere cosi tanta forza? Questo avviene in virtù dell'efficacia diretta e del primato di alcune norme dell'Unione ossia, rispettivamente, della loro capacità di attribuire diritti in capo ai singoli individui, potendo infatti, come dicevo prima, essere invocate direttamente davanti ai giudici nazionali nonostante appartengano ad un ordinamento diverso e, in tal caso, di obbligare il giudice ad applicarle anche in presenza di una norma interna incompatibile (non applicando quest'ultima)!
Con l'art. 11 della Costituzione è stato riconosciuto dalla Coorte Costituzionale come il "sicuro fondamento" del principio del primato:
Da cosa deriva questa prevalenza del diritto europeo sulla norma nazionale? Perché una norma estranea al nostro ordinamento può avere cosi tanta forza? Questo avviene in virtù dell'efficacia diretta e del primato di alcune norme dell'Unione ossia, rispettivamente, della loro capacità di attribuire diritti in capo ai singoli individui, potendo infatti, come dicevo prima, essere invocate direttamente davanti ai giudici nazionali nonostante appartengano ad un ordinamento diverso e, in tal caso, di obbligare il giudice ad applicarle anche in presenza di una norma interna incompatibile (non applicando quest'ultima)!
Con l'art. 11 della Costituzione è stato riconosciuto dalla Coorte Costituzionale come il "sicuro fondamento" del principio del primato:
"L'Italia...consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."
Tra queste vi rientra a pieno titolo l'Unione europea. Quindi riassumendo, laddove l'Unione detti una norma ad efficacia diretta in virtù delle competenze che gli Stati membri le hanno attribuito, essa prevarrà sulle norme interne incompatibili.
Il meccanismo di rinvio pregiudiziale precedentemente descritto è quindi uno strumento di dialogo tra giudici, diversi e lontani, per meglio comprendersi e al fine di dare un'uniforme applicazione del diritto. Rispondendo cosi al principio di certezza del diritto, al principio di uguaglianza di trattamento all'interno di un territorio ben più vasto di un solo Stato e al principio di effettività ed immediatezza di applicazione di norme che non provengono dall'ordinamento del giudice che le sta applicando.
Sembra cosi strano?
Non credo. E' una semplice integrazione di norme e degli ordinamenti che le contengono, in sostituzione di un'integrazione tra individui che invece stenta e fa fatica a realizzarsi.
Forse non ce ne accorgiamo ma fili invisibili ci collegano con l’Europa, quasi secondo una legge fatale che domina sulle nostre vite e sulle nostre azioni e pone ogni anima, oltreché ogni istituzione, in rapporto di interdipendenza con le altre, presenti in altri luoghi e in altri contesti. E se è vero che, come dice un noto ecologista, chi strappa un fiore, disturba una stella; se è vero che anche il minimo fatto accade con la partecipazione dell’intero universo; che ogni uomo è incastrato nella vita di tutti ed è artefice e responsabile di tutte le azioni; se infine è vero che in ciascuno di noi c’è l’intera umanità, per cui ciò che fa uno è come se lo facessimo tutti simultaneamente, in una diversa molteplicità e diversità di tempi o di luoghi, si comprende la portata del confronto. Del dialogo. Della dipendenza reciproca. Collegamento ad un post strettamente collegato: La mediazione della Corte Costituzionale in Europa
Collegamento ad un post sul diritto all'eguaglianza: Uguaglianza: tema giuridico e non...
Collegamento ad un post sull'applicazione del principio di integrazione da parte dell'Unione europea: Preferenze localistiche: discriminazioni d'oltreoceano
Un esempio di sentenza della Corte di Giustizia: Premi assicurativi unisex: Cosi la Corte di Giustizia ha deciso
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