lunedì 8 novembre 2010

Dal New York Times alla Costituzione

"All the news that's fit to print"

"Tutte le notizie che vale la pena stampare": ecco la frase con cui si apre la prima pagina del New York Times. Riportata in ogni numero del quotidiano d'oltreoceano, a sinistra del suo titolo, come fosse un principio ispiratore, una ratio su cui si basa la scelta dei contenuti informativi al suo interno.
In modo più generale rappresenta il motto della cultura giornalistica in senso ampio: esso simboleggia l'indipendenza, la libertà e la possibilità di informare su cosa si vuole e come si vuole...
Il giornale, quale mezzo di informazione per eccellenza, svolge una funzione indispensabile in una società democratica: assicura infatti quella conoscenza della realtà e quella concorrenza di opinioni che sono vitali perché i cittadini esercitino responsabilmente
i loro diritti e assolvano puntualmente ai loro doveri. 
Questo vale per il giornalismo Ma per la politica? Esiste un principio base, una legge universale per il suo funzionamento?

Formalmente i principi costituzionali hanno proprio il compito di dettare nei primi 12 articoli le fondamenta della nostra Repubblica, a cui seguono nella parte prima della nostra Carta i diritti e i doveri dei cittadini e non, in tutti i loro rapporti. Nella parte seconda invece si disciplinano l'ordinamento della Repubblica, delle sue istituzioni, organi e in particolare agli artt. 70-82 si tratta della formazione delle leggi. Tra quest'ultime norme nulla è scritto però su "come debbano essere" (ossia cosa debbano contenere), disciplinando gli articoli esclusivamente "come debbano essere fatte", ossia la loro procedura formale di adozione. Indubbiamente tali atti formali di rango primario, e di ogni altro livello gerarchico, devono essere discussi, approvati e attuati per il popolo e in nome di esso (ex. art. 1 Cost.), ma non basta affermare questo, non basta fornire dei semplici destinatari, bisognerebbe porre agli stessi atti e a chi li adotta altre finalità.
Come far acquistare questi obiettivi e prerogative alle norme? Dove ritrovare una ratio di fondo per i contenuti di esse?
Forse manca un criterio generale per la formulazione del diritto, delle sue disposizioni e perchè no, anche della sua successiva interpretazione.
Kelsen, il più grande esponente del normativismo, parlava di una norma fondamentale che stava alla base della validità delle norme costituzionali, una norma non posta, bensì presupposta che con la sua esistenza legittimava l'intero ordinamento.
Kelsen parlava di questa norma come necessaria per garantire la validità del sistema giuridico, mentre qui, affermiamo l'utilità di una norma fondamentale, che indichi l'opportunità degli atti legislativi, i quali se non sono degni non devono essere nè pensati, nè entrare in vigore, perchè violerebbero tale principio sovraordinato.
Ecco quello che manca: una norma gerarchicamente superiore, che dia una ratio contenutistica a tutte le fonti di produzione delle norme ad essa inferiori, che le indirizzi verso un fine. Un principio fondamentale, un assioma, quale potrebbe essere: "tutte le leggi che vale la pena promulgare".  
Questa teoria sconta il problema insuperabile di chi individui tale "motto", tale definizione di "dignità" di una legge, di idoneità ad essere tale. 

E poi sarebbe più cogente come principio esplicito in un codice, in una costituzione oppure implicito, non scritto ma capace lo stesso di rendersi obbligatorio per i legislatori?

Per un articolo successivo in cui ritorniamo sul tema della "qualità" della attività del legislatore potete leggere anche: Palazzo Madama e Montecitorio più utili in Europa che in Italia

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2 commenti:

  1. ma queste cagate le scrive simona serra? ma non faceva medicina?

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  2. Queste "cagate" le scriviamo tutti noi gestori del blog, cercando di metterci impegno...nessuno ti obbliga a leggerle o, men che meno, ad approvarle!
    Se vuoi fare qualche commento di critica costruttivo è ben accetto, altrimenti puoi anche evitare! grazie
    p.s. di solito ci si firma...

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