lunedì 27 dicembre 2010

Processi lunghi: troppi ritardi nei risarcimenti

Se i "tempi della giustizia" sono lunghi cosa succede?
La lentezza dei processi italiani lede la richiesta di giustizia delle parti, determina la disfunzionalità dell'organizzazione giudiziaria, influisce negativamente sull'economia e sull'opinione del nostro Paese all'estero (meno investimenti, ad esempio) e produce inoltre costi aggiuntivi.
Chi sia stato coinvolto in un procedimento per un periodo di tempo considerato "irragionevole", cioè troppo lungo, può richiedere al giudice italiano per questo motivo una equa riparazione, in base alla legge n. 89 del 24 marzo 2001 (cd. “legge Pinto”).
Tale risarcimento monetario è previsto nei confronti di “chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” in relazione al mancato rispetto del termine di cui all’articolo 6, paragrafo 1.
Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge”. (art.6 CEDU)
L'articolo in esame enuncia il principio dell'equo processo: il singolo che ritiene di essere stato danneggiato, tra l'altro, per i ritardi della giustizia può chiedere, dinnanzi alla Corte europea di Strasburgo, competente a conoscere delle violazioni della CEDU, la condanna del proprio Stato per la violazione dell'art. 6 della convenzione stessa.
Prima di informarvi su come si è espressa la suddetta Corte nel giudicare un comportamento  dello Stato italiano, ritenendolo inadempiente, mi accingo a spiegare il significato e la portata della legge 89/2001.
La legge Pinto, per tutelare il cittadino italiano che denuncia di essere sottoposto ad un processo "irragionevolmente" lungo, prevede che questi sia beneficiario di una sorta risarcimento, ossia una somma di denaro per ogni anno di eccessiva durata del processo. Per periodo "ragionevole", solitamente si intende: 3 anni per il procedimento di primo grado, 2 anni per il secondo (grado di Appello) e un anno per la Cassazione (mediamente in Italia un processo dura 8/9 anni).
Ovviamente dovrà essere valutata una serie di circostanze, come ad esempio la complessità del caso o il comportamento delle stesse parti e del giudice.
Il ricorso per equa riparazione va presentato entro il termine ultimo di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, prima è sempre proponibile. Bisogna farlo davanti alla Corte d’Appello territorialmente competente e in esso si dovranno esporre i fatti in maniera dettagliata. In particolare, sarebbe conveniente provare la lungaggine processuale, sì da dimostrare i ritardi intercorsi tra le udienze, facendo risaltare la violazione dell’art. 6, par. 1 della CEDU.  
Una volta esaurita la procedura, la Corte d’Appello, se ritiene fondata la pretesa del cittadino, condanna lo Stato a corrispondere al ricorrente l'indennizzo di cui sopra, oltre a rifondere le spese legali sostenute.

Alla luce di questo semplice excursus la nostra legge, apparentemente coerente con gli obiettivi della Convenzione e con i valori dell'equo processo, è stata, in realtà, da pochissimo (il 21 dicembre 2010) criticata per la sua errata applicazione proprio dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo.
La Corte ha condannato l'Italia per i ritardi con cui vengono pagati gli indennizzi risarcitori per la lentezza dei processi. I giudici della Corte hanno infatti reso noto di aver dato ragione a 475 soggetti che si lamentavano per aver dovuto attendere da 9 a 49 mesi per incassare tale risarcimento che era loro stato riconosciuto in base alla legge Pinto del 2001. Essa infatti, come detto, stabilisce un risarcimento per ogni anno di eccessiva durata del processo e sei mesi per l'erogazione dello stesso. Si manifestano quindi, oltre all'eccessiva durata dei processi, ritardi inaccettabili nei risarcimenti che da essi derivano. 
La Corte europea ha quindi chiesto all'Italia di rivedere la legge Pinto e di istituire un fondo speciale per il pagamento degli indennizzi in tempi ragionevoli e si sottolinea che in Italia esiste un «problema diffuso» inerente ai pagamenti degli indennizzi. 

La legge Pinto, formalmente giusta e idonea a tutelare la parte danneggiata da un lungo processo, se non viene applicata nella sua immediatezza fa venire meno la sua stessa ratio. 
Si tratta di un atto normativo adottato per adeguarsi agli standard europei ma il nostro Paese non riesce a rispettarla. La violazione della legge 89 del 2001 è quindi inevitabile se le riforme dei codici di procedura sono errate o rimangono lettera morta.


Collegamento all'articolo del blog: La giustizia civile: la "cenerentola" italiana
    
Se vi è piaciuto l'articolo non dimenticate di aderire al feed di Leggendoci per rimanere sempre aggiornati sul nostro blog!

Indietro alla pagina Il diritto nei giornali

5 commenti:

  1. La cosa che mi ha fatto sorridere è che la Cedu ha condannato l'Italia a pagamento di ben 200 euro a persona..! Quindi i 475 soggetti che hanno dovuto attendere dai 9 ai 49 mesi per il risarcimento previso dalla legge Pinto riceveranno un indennizzo iniquo che: 1.non è idoneo come riparazione per il ritardo subito(49 mesi sono 4 anni...), 2.non è così oneroso da "costrigere" il Parlameno ed il Governo a rivedere la legge Pinto. Senza considerare che per ricevere questi 200 euro dovranno attendere anni e anni. Buona attesa!

    RispondiElimina
  2. Purtroppo le decisioni della Corte europea a salvaguardia della Cedu hanno si una funzione sanzionatoria nei confronti dello Stato cui è inidirizzata la condanna, hanno anche un fine pubblicitario rendendo palese un grave inadempimento, ma non possono spingersi oltre... la Corte condanna lo Stato, in questo caso l'Italia,e sarebbe l'Italia quindi a doversi rimboccare le maniche e riparare i danni fatti! hai pienamente ragione Luca... Manca indubbiamente una maggior effettività alle pronunce, sentenze, delle corti e degli organi istituiti da trattati internazionali!

    RispondiElimina
  3. Manca anche una riforma degli uffici giudiziari, a voler ben vedere...
    Dovremmo ottimizzare il lavoro, dovremmo ridurre i tempi della giustizia, e, per quanto difficile, se si volesse, lo si potrebbe fare...
    Ma dato che non lo si vuole...

    RispondiElimina
  4. sul punto degli uffici giudiziari interni e in particolare su quello di ridurre i tempi ci hanno anche provato, le riforme si succedono da anni ogni anno..i casi sono due: o si rinuncia a qualche tutela e non è il massimo (anche se è proprio questa la strada che si sta seguendo ultimamente) oppure si devono potenziare le risorse.....e questa seconda purtroppo in Italia in questo momento non è percorribile.
    Resta forse la possibilità di indirizzare la giustizia verso un approccio più manageriale nella gestione degli uffici, certo sottoporre i giudici a "valutazioni di efficienza" contrasta un pò con la loro indipendenza e autonomia e riduce probabilmente la giustizia nelle decisioni...

    RispondiElimina
  5. Tutto vero, però una ottimizzazione del lavoro, soprattutto nel campo civile, sarebbe auspicabile...
    L'informatizzazione è a un livello ancora troppo lontano da un buon standard di funzionamento!
    Certo che potenziare le risorse è quasi utopistico nell'Italia odierna, ma non ci si può neppure rassegnare ad una giustizia cosi inefficente!

    RispondiElimina