venerdì 3 giugno 2011

La prescrizione come causa di estinzione del reato?

Sentiamo spesso parlare di prescrizione, ma di cosa si tratta? Questo istituto è uno dei più importanti nel mondo del diritto e lo ritroviamo in molti suoi ambiti. In diritto civile per esempio quando sentiamo dire che un diritto si è estinto per prescrizione o in diritto penale quando leggiamo che la pena inflitta ad un soggetto è stata ridotta perché una parte del reato si è prescritta (è il recente caso del patron di Parmalat Calisto Tanzi condannato in Appello a 10 anni di carcere la cui pena è stata ridotta a 8 anni in Cassazione per effetto della prescrizione di parte del reato). Proprio riguardo all'operare dell'istituto nell'ambito penalistico vorrei entrare nel merito scrivendo questo articolo e, poiché si tratta di un argomento abbastanza complesso, spero di non fallire nell'intento di semplificarlo.

In generale possiamo dire che la prescrizione, non solo in ambito penale, è un termine che ha come condizione una inerzia ed ha come effetto una estinzione nel momento in cui scade. Partendo da questa seconda caratteristica, diciamo che il diritto penale conosce due diverse applicazioni dell'istituto: la prescrizione come estinzione del reato e quella come estinzione della pena. Sono situazioni profondamente diverse. La prescrizione che porta alla estinzione del reato opera, normalmente, prima di una condanna definitiva, anche durante il corso del processo (cioè prima che, nel caso in cui si abbia avuto un processo in tre gradi, la Cassazione pronunci una sentenza passata in giudicato che non sia più impugnabile). La prescrizione che porta alla estinzione della pena opera dopo che si è svolto un processo e il giudice abbia emesso una sentenza di condanna alla applicazione di una pena (es. la reclusione per tot anni). Mi concentrerò tuttavia solo sul primo caso che presenta aspetti maggiormente controversi a mio parere.
La prescrizione, nella prima ipotesi, come causa di estinzione del reato, comporta che il reato (anche se è stato effettivamente commesso) si considera come non punibile (non può essere applicata nessuna sanzione penale se il processo è già iniziato) o non perseguibile (non può iniziarsi il processo) dopo che sia trascorso un certo periodo di tempo (è il termine di prescrizione) da quando è stato consumato. 
La giustificazione che viene data dai giuristi alla prescrizione in questo caso è che, trascorso un certo lasso di tempo da quando il reato è stato commesso, viene meno l'interesse pubblico alla repressione dello stesso, cioè lo Stato non ha più interesse ad impiegare risorse per cercare, catturare e condannare gli autori (se ci sono realmente stati).
Ovviamente ci sono reati più gravi (es. omicidio) e meno gravi (es. furto) ed è necessario che siano trattati in modo differente: per i primi il termine di prescrizione deve essere più lungo perché è logico pensare che l'interesse dello Stato e della collettività a prendere i responsabili ci metta più tempo ad affievolirsi. Questa conclusione è confermata dal fatto che i reati più gravi di tutti, cioè quelli puniti con l'ergastolo (es. omicidio con premeditazione), non si estinguono per prescrizione.
Ma come si fa a capire la gravità di ciascun reato? Quale criterio oggettivo bisogna usare per assegnare a ciascun reato un suo termine di prescrizione che sia proporzionale alla sua gravità? La risposta a queste domande è: bisogna guardare la pena assegnata dalla legge per ciascun crimine poiché, logicamente, un fatto più grave è punito con una pena maggiore.
Questo criterio logico è quello seguito dalla nostra legge che all'articolo 157 c.1 del Codice Penale che indica che il tempo necessario a prescrivere un reato è "pari al massimo della pena edittale stabilita dalla legge (...)".
Per fare un esempio concreto: il reato di corruzione in atti giudiziari dell'articolo 319-ter del CP è punito con  "pena della reclusione da tre a otto anni" (è questa la pena edittale, cioè la cornice astratta all'interno della quale il giudice deciderà la pena concreta da applicare al reo). Essendo la pena massima possibile di 8 anni questo stesso tempo sarà anche il termine per la prescrizione del reato.
Bisogna qui precisare che l'attuale disciplina della prescrizione è frutto di una significativa modifica avvenuta nel 2005 ad opera di una legge "ex Cirielli". Prima della riforma il tempo necessario a prescrivere il reato era più breve per le contravvenzioni (in linea di massima, reati meno gravi), ma assai più lungo per i delitti (reati tendenzialmente più gravi). E la disciplina era costruita non attraverso la previsione di un criterio generale ma attraverso un griglia che associava a gruppi di reati un certo tempo fisso per la prescrizione a seconda della pena per questi prevista. Applicando la disciplina precedente al nostro esempio il termine sarebbe stato di 10 anni in luogo degli 8 attuali, con una maggiorazione di ben 2 anni.

Come dicevo sopra, condizione affinché ciò avvenga, cioè che il reato si estingua, è che l'autorità giudiziaria non si sia attivata per compiere attività repressive; proprio qui sta l'inerzia di cui si parlava all'inizio che è presupposto del venir meno del reato penale, tant'è vero che nel caso in cui il PM (l'organo preposto dallo Stato per l'esercizio della azione penale e per la coordinazione delle attività di indagine) si attivi, compiendo un atto di indagine specifico (es. interrogatorio di un indagato), il corso della prescrizione si interrompe. In altre parole se lo Stato si attiva attraverso i suoi organi giudiziari non si "potrebbe" sostenere che il reato debba estinguersi perché non c'è nessuna inerzia. Ho usato il condizionale (si potrebbe) e non l'indicativo (si può) per evidenziare una contraddizione logica fra la ratio (il perché dell'istituto) e la sua disciplina normativa. Infatti l'effetto dell'interruzione è solo quello di procrastinare la scadenza del termine. La legge per dire questo usa una difficile formula per cui, riassumendo, "la prescrizione interrotta ricomincia a decorrere dal giorno dell'interruzione ma i termini originari non possono prolungarsi di oltre un quarto." 
Per comprendere riprendiamo l'esempio precedente: l'effetto di un atto interruttivo della prescrizione sarà solo quello di allungare il termine da 8 anni originari a 10 anni (8 + 2), essendo 2 un quarto di 8.
Anche in questo campo è intervenuta la modifica del 2005 ed anche qui l'intento è stato quello di accorciare i termini. Infatti la precedente disciplina prevedeva che i termini originari fossero prolungati "fino alla metà". Il risultato sarebbe stato 15 anni (10 iniziali+5). Mettendo a confronto il passato con il presente possiamo vedere che lo stesso reato oggi si estingue al massimo in 10 anni mentre ieri l'avrebbe fatto in 15 anni. C'è da chiedersi se questa disciplina più lassista risponda davvero alle esigenze di sicurezza dei cittadini. Le statistiche mostrano che 7 anni e mezzo è il tempo in cui "normalmente" cadono in prescrizione molti reati e quelle stesse statistiche mostrano che i processi in Italia si stanno allungando sempre di più anche oltre questo tempo consentendo spesso che la prescrizione operi prima della condanna definitiva estinguendo il reato!
In ogni caso questa disciplina dell'interruzione chiarifica, se fossero sorti dei dubbi al riguardo, come sia possibile che il reato si prescriva in corso di processo, nel pieno della repressione penale (è l'esempio del caso Tanzi e di numerosi altri casi) ed evidenzia, a mio parere, una contraddizione tra ratio e disciplina.
Vorrei cercare di porre l'accento su un'ultima contraddizione del nostro sistema, essa opera a livello processuale e riguarda la tendenza, da parte degli avvocati, a proporre impugnazione in Appello o in Cassazione non per perseguire il raggiungimento di una sentenza il più possibile giusta, ma bensì al solo scopo di procrastinare la conclusione del processo in modo che la prescrizione possa operare. In questa tendenza si vede come uno strumento deflattivo abbia in realtà ad oggi un effetto ampliativo dell'attività di organi statali e delle relative spese, nonché un risultato opposto a quello di assicurare giustizia. C'è qui una contraddizione tra ratio e applicazione.
L'accorciamento dei termini di prescrizione e al contempo l'allungamento dei processi portano sempre di più l'applicazione dell'istituto lontana dalla sua giustificazione. Questa evoluzione mina sempre più la fiducia dei cittadini in un sistema penale che come primo obiettivo dovrebbere avere l'efficienza.

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10 commenti:

  1. Sarà anche che gli avvocati impugnano spesso non per "raggiungere una sentenza il più possibile giusta" ma per cercare di ottenere la prescrizione. Ma fino a che nel cpp ci sarà il divieto di reformatio in peius della sentenza (597, 3 c) appellerei sempre anche io :)

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  2. in questo contesto normativo sono d'accordo, anche io appellerei ad ogni occasione, d'altronde gli avvocati devono pur sempre fare il loro lavoro.
    La precisazione sul divieto di riforma in peggio delle sentenze penali è innegabilmente un punto critico della disiplina che comporta forse, dal punto di vista pratico, ad un abuso delle impugnazioni..ma esse sola non comporterebbe ingiustizia nel senso comune del termine ossia che "anche chi commette crimnii alla fine non va in galera".
    Il divieto di riforma in peggio di per sè non comporta ingiustizia, poichè se uno ha commesso un reato ed è stato condannato in primo grado gli verrà confermata la condanna..
    il problema principale è a mio parere la combinazione in sensi opposti da un lato della prescrizione, con termini sempre più brevi, e dall'altro delle lungaggini del processo (delle quali il divieto di reformatio in peius di per sè non è unica causa)..
    Grazie per l'interessante commento...

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  3. Magari in appello confermano la sentenza, vero. Ma se l'appello è così libero, quasi incentivato, ogni condannato per delitto con prescrizione "base" in sei anni tenderà ad appellare: tanto, peggio di come gli è andata in primo grado non può andare e se è fortunato tra appello e cassazione trova l'oracolo della prescrizione.
    Quanto alla prescrizione stessa, io sarei anche più estremista: che venga azzerata e rinnovata ogni volta che un giudice si pronunci con sentenza, cosicchè tra primo e ssecondo grado ricominci a decorrere un nuovo termine pieno o che venga proprio azzerata una volta che il pm esercita l'azione penale.
    D'altronde, se il fondamento dell'istituto è che lo stato non ha interesse a perseguire reati commessi addietro nel tempo, questo interesse si verifica tutte le volte in cui il pm conclude le indagini nel termine di prescrizione in modo da "sostenere l'accusa in giudizio" e mettere in moto la giurisdizione penale.
    Saluti

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  4. L'ultimo punto che tu hai evidenziato è proprio l'assurdo che mi ha colpito di più, cioè il fatto che il reato si prescriva proprio nel bel mezzo del processo penale che è l'attività più forte che lo stato ha a disposizione per reprimere il reato stesso. In questa situazione viene meno ogni ragionevolezza dell'affermazione che lo stato non si è interessato alla condotta criminosa!
    L'idea della nuova decorrenza dell'intero termine di prescrizione dopo ogni grado di giudizio è molto interessante...
    Un'altra proposta che potrebbe arrivare ad un compromesso più ragionavole tra la posizione più "estremista" e quella più lassista (che ad oggi la nostra legge adotta) potrebbe essere quella di far ricominciare da zero il termine di prescrizione una volta che avviene un atto interruttivo, rimuovendo quindi l'assurdo limite della procrastinazione massima del 1/4 per la scadenza del termine originario...

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    1. Salve sapete bene come parlare, avvocati sicuramente credo che abolireste la orescrizione se toccasse a voi, se per esempio perdete una causa per un testimone falso e che anche se precessato per falsa testimonianza con tanto di prove il reato si prescrive, sai come sarete contenti

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    2. Non siamo avvocati ma semplici studenti e non ritengo di essere giustizialista se penso che questa disciplina della prescrizione sia assolutamente negativa. Leggendo il suo commento mi sembra che forse lei abbia frainteso: questo è un articolo di critica (tentando di argomentare con logica-giuridica) sulla disciplina della prescrizione così come modificata nel 2005. Questa disciplina non può appagare le esigenze di giustizia di tutti noi.
      DUEMACCHIE

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  5. "QUALIFICATA L'IMPUGNAZIONE AI SENSI DEL'ART. 314 C.P. ANNULLA SENZA RINVIO LA SENTENZA IMPUGNATA PERCHE' IL REATO è ESTINTO PER PRESCRIZIONE FERME RESTANDO LE SITUAZIONI CIVILI" COSA SIGNIFICA?

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  6. SCUSATE MI SONO SCORDATO DI PRECISARE CHE QUESTO DISPOSITIVO E' SCATURITO DAL UN RICORSO IN CASSAZIONE DOPO RICORSO IN APPELLO CON CONFERMA DELLA PENA

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  7. La giustizia non ha funzionamento per coloro che osno a bolletta,il più forte "economicamente"l'ha da padrone. Funziona così perché esistono influenze aristocratiche .un misto vario di discriminazioni,per cui solo remunerando bene è possibile raggiungere una certa nitidezza per mezzo della Cassazione:unico organo che ha un fiunzionamento ancora costiuzionale,ma appunto costoso: raggiunge pertanto la considerazione secondo la legge mancino della"discriminazione a scopi di opinione". IN pratica l'unica opzione reale è che ci sia una forte prescrizione che ovvi a queste reali difficoltà oggettive. Io stesso ai processi non ci vado,sarei un pazzo! in quanto sono tutte denunce di opinioni politiche portate a diffamazione e persecuzione pertanto sono ben elaborate per avere delle condanne certe...così tranquillamente potrei raggiungere ,secondo le normative basi,20 o anche 30anni di cumulo senza neppure aver toccato una mosca...ma l'incongruenza stessa esiste nella formulazioni di 3 o 4 ergastoli, o 200 anni di carcere, proprio perché non hanno nella pena una consistenza "sensata o reale",ma esistono! Pertanto "chi più spende meno spende"...funziona solo nella capacità di spesa del singolo. Anche qui è lato discriminativo cui voi non descrivete. E' mancanza grave...L'avvocato è un "medico", un "dottore", l'idea che sia una prospettiva "macina-soldi"è fuorviante... ma tant'é funziona! Allora è bene sia il cittadino a cercare di non essere ignorante e salvaguardare sé stesso e medesimo contro pregiudizi a senso unico e discriminatori.Qui vi cruogiolate semplicemente nell'appigliarvi ad una norma in specifico,ignorando ch'é stata fatta d'altri e ch'é fattibile di continue migliorie,non riela...cubrazioni ...sulla stessa.

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  8. Tornando a ciò: "così tranquillamente potrei raggiungere ,secondo le normative basi,20 o anche 30anni di cumulo senza neppure aver toccato una mosca...ma l'incongruenza stessa esiste nella formulazioni di 3 o 4 ergastoli, o 200 anni di carcere"...ricordo ai signori "avvocandi"che il sistema civile scandinavo, civile anche nel senso comune sociale...è costituito da pari vostri colleghi e la pena massima in tutto è 25anni. Se "aprite" ora la mente, chiudendo i llibro di testo formulato da un qualsivoglia "miste X", spesso anzi per questioni religiose,pressioni esterne, o quant'altro, nel vicino passato,è allora facile comprendere un'equilibrio di "vendetta punitivia" relegata certo più consono all'equilibrio biologico dei + ergastoli: assolutamente impossibili da comminare e scontare! e dai non meno assurdi 99 o 200 anni di carcere. Certo se inforcate gli occhiale e aprite pagina, ma chiudete la mente ermeticamente,allora...in detto caso decade anche la formulazione di "dottore", in quanto per "sapere" il dottore può e deve anche "ricercare", "scoprire", dev'essere il "champollion o PAsteur" della situazione contingente; pena stesso non esser più "dottore ma esecutore soltanto", favorendo l'ingolfamento dell'esistente senza un'uscita pratica, e in detto caso, equilibrata "circonstanziatamente"

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