mercoledì 15 giugno 2011

Per un referendum più condiviso basterebbe qualche modifica

La democrazia è il governo del popolo, dal popolo, per il popolo - Abramo Lincoln
Un principio cardine della democrazia (non c'è dubbio che lo sia) è la pubblicità delle discussioni tramite le quali i rappresentanti eletti dai cittadini confrontano le proprie posizioni in modo aperto per poi prendere delle decisioni per la collettività. In un sistema democratico sia l'elezione dei politici sia le modalità con cui essi adottano appunto le loro decisioni avviene con il meccanismo del voto. La conseguenza di ciò è che una elevata partecipazione dei votanti, siano essi cittadini o parlamentari, alle scelte generali è sempre un bene. In particolar modo il coinvolgimento degli elettori tutti risulta ancor più incisivo poiché favorisce una miglior rappresentazione della “volontà generale”, che i governanti devono ben tenere presente per svolgere le loro funzioni. 
Appare quindi paradossale che l’elettorato venga invitato a non votare per un referendum dalle stesse forze politiche che, come la storia ci insegna, appartengono sia alla destra che alla sinistra a seconda dell’argomento a cui opporsi. La speranza è, ogni volta, che non si raggiunga il quorum del 50 % + 1 degli aventi diritto, per evitare che venga abrogata la legge esistente. Nel nostro ordinamento, infatti, con i referendum si possono solo abolire e non approvare le leggi. Ed è proprio l’esistenza di un quorum che impedisce il risultato positivo (voluto dai promotori) dei referendum, a causa dell'astensionismo messo in atto da chi è contrario all'abrogazione. 

Il referendum è un istituto di diritto e pertanto è a sua volta da esso modificabile. La domanda che ci poniamo è: come si potrebbe intervenire per riformarlo?  
Il sistema italiano richiede per la validità del referendum che almeno il cinquanta per cento degli aventi diritto vadano a votare, mentre iGermania la regola di validità di un referendum abrogativo è che almeno il 25 per cento degli aventi diritto al voto si esprimano a favore dell’abrogazione e, una volta accertata la sussistenza di questa condizione, il numero di “sì” deve comunque essere più alto del numero di “no” per ottenere l'abrogazione della norma. Questo basso quorum scoraggia la strategia del non-voto perchè, se si sospetta che più di un quarto degli aventi diritto possano essere favorevoli alla abrogazione astenersi significherebbe assicurare la vittoria degli “abrogazionisti”. La conseguenza primaria di questo sistema tedesco è una più ampia partecipazione al processo decisionale da parte dei cittadini, spinti ad esprimere le proprie opinioni sia in senso favorevole all'abrogazione sia in senso contrario. Partecipazione civica che è sintomo di vitalità di una democrazia.
Oltre a questa prima proposta di abbassamento del quorum, ce ne sono altre che mirano all'abolizione totale dello stesso ma ad un raddoppio del numero delle firme necessarie per convocare i referendum, portandole dunque a 1 milione; al fine di constatare subito se ci sarà una partecipazione adeguata e far decidere successivamente, senza come detto la previsione di quorum, chi va a votare, indipendentemente dal numero di aventi diritto che non votano astenendosi. 
Indipendentemente dalla situazione attuale e dal referendum che si è appena svolto la questione riguarda l'opportunità di cambiare per il futuro, affinché tale istituto venga usato in modo giusto e secondo i principi della democrazia. Bisogna aggiungere che il referendum in quanto voto su questioni pratiche e non tecniche (es. leggi finanziarie, economiche, ecc...) dovrebbe attirare maggiormente il senso civico dei cittadini a cui viene data l'occasione di sostituirsi un pò ai legislatori, molto più che nelle elezioni politiche.
Ritornando al moderno atteggiarsi della strategia dell'astensionismo, c'è chi sostiene in suo favore che non andare a votare è solo un nuovo tipo di partecipazione; il cittadino che non si reca alle urne esprimerebbe la sua posizione politica proprio come colui che vota. Sebbene si possa facilmente obiettare affermando che chi vota esercita un diritto, mentre chi non vota non lo esercita. 
Il punto su cui bisogna soffermarci è la scelta tra una democrazia più partecipativa, dove i cittadini siano continuamente chiamati a discutere, o una democrazia più rappresentativa, dove una volta eletti i rappresentanti, questi facciano il loro dovere, senza il confermativo o meno intervento popolare. 
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2 commenti:

  1. Sulla democrazia troppo partecipativa io ho qualche dubbio. Il "popolo" non sempre (anzi!) è idoneo ad esprimersi su questioni complicate. Senza contare che, come per tutte le cose, una sovraesposizione a consultazioni referendarie stuferebbe alla lunga.
    Quanto ai non votanti, su un punto dissento. Anche non andare a votare è una modalità di esercizio del diritto. Proprio come distruggere il bene è nella facoltà del proprietario o rinunciare al credito nella facoltà del creditore.
    Infine, il sistema tedesco è un buon sistema. Come lo è spesso in tema di esercizio dei diritti civili e bilanciamento con le esigenze pubbliche

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  2. Come hai ben detto, il popolo non sempre ha le conoscenze per poter decidere di questioni importanti per l'intera comunità, infatti proprio per questo la legge ha escluso la possibilità di chiedere referendum abroga
    tivi per determinati tipi di legge, quali quelle finanziarie ad esempio (sarebbe assurdo poter chiedere l'abrogazione di una legge che istituisce nuove tasse!)... Altri paesi prevedono il referendum non solo come abrogativo ma anche confermativo ad esempio. Si richiede quindi una più grande partecipazione dei cittadini, cosi come però viene data loro una maggiore conoscenza e conoscibilità delle questioni su cui devono decidere. Maggiori diritti vengono dati ma maggiori òneri vengono assunti dallo Stato. Partecipare alla vita politica come si faceva nelle agorà greche potrebbe essere faticoso è indubbio, e come dici tu stuferebbe... ma forse un pò più di coscienza politica servirebbe, non per forza partecipazione attiva.
    Sul secondo punto che hai messo in evidenza, le similitudini non fanno una piega. Ma mentre la distruzione di un proprio bene, cosi come la rinuncia ad un proprio credito coinvolge esclusivamente il proprietario della cosa o il creditore, la rinuncia al voto incide non solo sull'individuo singolo. Non a caso il diritto di voto è inserito nella parte prima della costituzione intitolata "dei diritti e dei doveri dei cittadini",mentre il codice civile attribuisce al proprietario il diritto di godere e di disporre del proprio bene in modo pieno ed esclusivo. La parola dovere non viene menzionata in questo caso. Ma quando la si legge, non bisogna far finta che non esista.

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