Il nostro paese prova costantemente ad uniformarsi ai modelli europei, soprattutto in ambito giuridico, ma il più delle volte - nonostante le ambizioni siano onestissime - non riesce a raggiungere risultati soddisfacenti. Vediamone un esempio.
Con la legge N. 69 del 2009 si è voluto introdurre all'interno del processo civile l'istituto della "testimonianza scritta". A prima vista sembrerebbe un ossimoro, dato che la testimonianza è a tutti nota come una serie di dichiarazioni rese oralmente da un soggetto di fronte al giudice riguardo a fatti rilevanti per la decisione di una causa. E allora come può essere resa in forma scritta e quale l'utilità? La motivazione è la seguente: si è cercato di accelerare i tempi di un processo infinitamente lungo, quale quello civile in Italia. L'inserimento di una prova che non necessita di assunzione, ossia di acquisizione all'interno di una udienza apposita, taglia indubbiamente i tempi. Essendo la testimonianza scritta resa su un formulario di quesiti si presenta, in fin dei conti, come un documento scritto e in quanto tale si inserirebbe nel fascicolo della causa insieme a tutti gli altri atti e documenti come prova precostituita.
Le prove si dividono infatti in prove costituende e prove precostituite, le prime si creano attraverso assunzione nel processo da parte del giudice (es. la testimonianza tradizionale o l'interrogatorio delle parti), le seconde sono già formate precedentemente al giudizio e devono semplicemente essere acquisite (prodotte e ammesse) e portate così nel processo (es. un testamento o un contratto).
Lo scopo dell'inserimento di questa nuova tipologia probatoria è quindi assolutamente meritevole ma nel momento in cui è entrata nel nostro ordinamento due anni fa si presentava già come lettera morta. Vediamo perché.
I primi due limiti si leggono dal primo e ultimo comma della norma:
Le prove si dividono infatti in prove costituende e prove precostituite, le prime si creano attraverso assunzione nel processo da parte del giudice (es. la testimonianza tradizionale o l'interrogatorio delle parti), le seconde sono già formate precedentemente al giudizio e devono semplicemente essere acquisite (prodotte e ammesse) e portate così nel processo (es. un testamento o un contratto).
Lo scopo dell'inserimento di questa nuova tipologia probatoria è quindi assolutamente meritevole ma nel momento in cui è entrata nel nostro ordinamento due anni fa si presentava già come lettera morta. Vediamo perché.
I primi due limiti si leggono dal primo e ultimo comma della norma:
art. 257-bis - Testimonianza scritta -comma 1: "Il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone... di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato";
comma 8: "Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui".
In primo luogo raggiungere un accordo in corso di causa tra due o più parti litiganti è praticamente impossibile, quindi prevedere un istituto con questo presupposto equivale a impedirlo del tutto. Soprattutto in questo caso, essendo la testimonianza scritta una prova che si forma a casa e non in giudizio, gli avvocati, giustamente, temono reciprocamente che la compilazione sia "indirizzata" dai loro colleghi verso una verità che sia coincidente con gli interessi dei medesimi. In secondo luogo lasciare al giudice una valutazione di opportunità per l'assunzione di questa testimonianza scritta sulla base della natura della causa - che ad esempio porterebbe ad escludere l'assunzione dei tale prova per le cause di maggior valore - non necessaria.
Se continuiamo a leggere la norma, il secondo e terzo comma dicono:
Se continuiamo a leggere la norma, il secondo e terzo comma dicono:
"Il giudice... dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza... Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione".
Ecco un altro limite della norma (sebbene sia una concessione che bisogna dare in cambio di una più veloce assunzione) la predisposizione di questo modulo di testimonianza da parte di chi chiede di far rispondere il teste, che consiste in un rigido e freddo questionario precostituito. E' qui che si perde la vera forza e l'attendibilità di una testimonianza: la sua oralità e la veridicità delle dichiarazioni date dal testimone di fronte ad un organo dello Stato. Come si fa a sapere se sta scrivendo il vero? Il convincimento che il giudice si fa gli deriva appunto dal contatto diretto ed emotivo con il teste. La compilazione di questo foglio non lo permette e soprattutto non assicura la reale provenienza delle risposte, che ben possono essere accordate dal testimone insieme all'avvocato e alla parte che intende portare la sua prova sui fatti.
Il nostro ordinamento ha sempre, sin dai tempi più antichi, dimostrato un grande sfavore e perplessità nei confronti della testimonianza mentre la prova documentale ha avuto e mantiene tuttora la priorità. Ecco perché l'accorpamento di una testimonianza che sia scritta è un binomio impraticabile!
Riportiamo il collegamento ad un articolo del blog sulla cronica disfunzionalità del nostro processo civile: La giustizia civile: la "cenerentola" italiana?
Collegamento ad un post che mostra un punto di possibile riforma del nostro processo civile, quale il compenso forfettario degli avvocati: Avvertimenti dall'UE per la patologica inefficienza del processo civile: l'Italia resta sorda
Il nostro ordinamento ha sempre, sin dai tempi più antichi, dimostrato un grande sfavore e perplessità nei confronti della testimonianza mentre la prova documentale ha avuto e mantiene tuttora la priorità. Ecco perché l'accorpamento di una testimonianza che sia scritta è un binomio impraticabile!
Riportiamo il collegamento ad un articolo del blog sulla cronica disfunzionalità del nostro processo civile: La giustizia civile: la "cenerentola" italiana?
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