martedì 26 ottobre 2010

La giustizia civile: la "cenerentola" italiana?

La cronica disfunzionalità del sistema giudiziario civile viene presentato come un fastidioso e ineliminabile problema del nostro paese, quasi facesse parte del suo ritmo personale o delle "sbagliate" abitudini che non si sradicano facilmente. Un disordine organizzativo e una lentezza esasperante che non rimangono autoreferenziali, non si distruggono da soli, ma anzi impongono costi ingenti all'economia e al senso civico.
Da anni le procedure civili subiscono continue ma inutili riforme nel tentativo, inutile, di migliorarne il funzionamento dato che, per completare i tre gradi di giudizio previsti, ci vogliono in media 9 anni mezzo.

Causa dell'inefficienza non è la mancanza di risorse, anzi quanto a spesa pubblica per la giustizia l'Italia è seconda solo a Belgio e Germania, confrontandoci con altri paesi abbiamo più tribunali di tutti e anche 35 avvocati ogni 10.000 abitanti contro gli 8 della Francia e 18 della Germania. Una professione legale quest'ultima che trae un certo "beneficio" dalla litigiosità e dalla lunghezza dei procedimenti sebbene non siano imputabili come i principali "colpevoli" della lentezza del sistema.
Alcuni addetti ai lavori asseriscono che l'approccio alle riforme sia sbagliato: si guarda prevalentemente agli aspetti procedurali e giuridici, dimenticando che l'efficienza di ogni organizzazione va ricercata attraverso un corretto sistema di incentivi e sanzioni.
Il principale problema italiano è infatti l'alto tasso di litigiosità, un vero e proprio tratto caratteriale della popolazione, affiancato inoltre dall'incertezza dell'applicazione normativa, ossia dell'incertezza dello stesso esito del processo, che viene visto quasi come un fumus nel quale tutti, se scaltri nell'usare le regole, possono uscire vincitori. Come ci insegna... Alessandro Penati (Professore di Finanza aziendale all'Università Cattolica di Milano): "La legge viene percepita come un azzardo dall'esito incerto, sul quale vale la pena di scommettere".  
Se, invece, il criterio di applicazione della legge fosse certo, o perlomeno tendente in tal senso, l'esito di un procedimento sarebbe scontato e meno si ricorrerebbe ai tribunali.
L'ultima riforma del 2010 inserisce la mediazione privata con il decreto legislativo n.28. Ad oggi prevista come facoltà, dal marzo 2011 sarà un obbligo procedurale delle parti, che dovranno espletarla prima di instaurare un vero e proprio giudizio davanti ad un giudice. Questo "tentativo preventivo" di composizione della controversia non riduce tuttavia il problema dell'incertezza di applicazione della legge e del risultato del processo, ma piuttosto (e ancora) ne allunga i tempi, presentandosi quasi come un "quarto grado" preliminare. Tra l'altro la riforma crea anche la nuova figura del mediatore in una folla già ricca di avvocati. Un nuovo soggetto terzo che non ha nulla dell'indipendenza e autonomia costituzionale del giudice, bensi si tratta di un privato, quasi sempre un tecnico della materia oggetto di controversia o un autorevole avvocato, di cui ne aumenta a dismisura la categoria.
Ai problemi analizzati fino ad ora si aggiungono quelli della variabilità del numero e della durata dei processi nei tribunali italiani, differenti a seconda della città in cui ci si trova: ad esempio i procedimenti pendenti a Venezia sono numericamente il triplo di  quelli di Genova, mentre un appello a Reggio Calabria dura, in media, il quadruplo rispetto a Trento e a Bologna  il doppio rispetto a Torino! Questi dati indicano l'assoluta necessità di una riorganizzazione territoriale della giustizia e un approccio più mangeriale nel funzionamento dei tribunali.     

Per un analisi dei possibili rimedi alla lentezza dei processi : Processi lunghi: troppi ritardi nei risarcimenti

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