lunedì 28 novembre 2011

Deficit di bilancio, passando dal debito, fino allo spread

In questo periodo la politica e l’economia sembrano aver costituito un binomio inscindibile. Ma ci si chiede se sia la prima al servizio della seconda o la seconda gestita dalla prima? Evitando di rispondere a un tal interrogativo, vogliamo far notare invece, come nel mezzo di queste due "prime donne" - la politica e l'economia - compaia una figura maschile quale unico strumento utilizzabile per dar vita e concretezza sia all'una che all'altra: il diritto. Solo con provvedimenti, leggi o manovre si plasma la realtà, si modifica la situazione sociale e si cerca di sfuggire alla crisi. Sarebbe quindi più opportuno parlare non di una coppia, bensì di un trio affiatato, dove le donne (facendo riferimento solo ai generi dei sostantivi), che si trovano in maggioranza, spesso litigano e discutono animatamente, e per questo hanno bisogno di un terzo "super partes" che dia loro una via da seguire.

In un momento cosi instabile e negativo per il nostro paese, quale è quello che stiamo vivendo, è un dovere conoscere qualche pillola di definizioni tecniche sia giuridiche sia economiche per meglio leggere e decifrare gli infiniti articoli che vengono scritti sui giornali, con un maggior spirito critico (che mai deve mancare). Concentrando l’attenzione sui termini più usati quotidianamente, cerchiamo di ricostruire in modo molto semplicistico quali sono le premesse economiche che porteranno nei mesi a venire a importanti riforme strutturali e nuove leggi.
In primis occorre tener presente che lo Stato si comporta, in fin dei conti, come qualunque impresa o famiglia e al pari di esse ha un proprio bilancio, in cui sono indicate le entrate e le uscite dello Stato in un dato periodo (es. un anno). Il deficit o disavanzo pubblico è quella situazione economica che si ha quando le uscite superano le entrate, situazione che deve essere risanata prima possibile, secondo modalità decise dal governo in manovre, leggi o strategie economico-finanziarie di più lungo periodo. Le uscite (o meglio la spesa pubblica) consistono negli acquisti pubblici, nei trasferimenti alle amministrazioni locali, alle imprese e ai singoli (sotto forma di pensioni e altri tipi di sussidi). Le entrate sono invece incassate dallo Stato tramite le imposte sul reddito dei singoli, sul reddito delle società e altre imposizioni. Il saldo negativo tra entrate ed uscite rappresenta dunque il deficit o disavanzo. La presenza di esso si può dunque attribuire ad un eccesso di spesa o a insufficienti entrate (ad esempio un'alta evasione fiscale o una bassa crescita economica) che portano nelle casse statali meno denaro di quanto necessario a coprire i costi della pubblica amministrazione. Per ridurre il deficit pubblico si cerca di diminuire le uscite statali ovvero tagliare la spesa pubblica, aumentare le entrate ovvero la tassazione, diminuire l’evasione fiscale, vendere beni pubblici (privatizzare). Ma, normalmente, per attuare il risanamento del deficit lo Stato decide di emettere e vendere titoli di stato con aumento del proprio debito. 
I titoli di stato (buoni del tesoro) sono obbligazioni (titoli di debito) emesse dallo Stato italiano, formalmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, al fine di recuperare capitali e rifinanziare il bilancio. Acquistandoli, gli investitori prestano i loro fondi per un certo periodo, con lo scopo di ottenere una performance (rendimento) congrua rispetto al rischio sostenuto (rischio in inadempimento dello Stato, di sua insolvenza). Questi titoli di stato vanno dunque a costituire il cosiddetto debito pubblico sul quale lo Stato emittente paga necessariamente degli interessi che contribuiscono a loro volta ad aumentare le uscite statali.
Il debito pubblico è quindi quel debito dello Stato nei confronti di altri soggetti, individui, imprese, banche o stati esteri, che hanno sottoscritto un credito allo Stato sotto forma di obbligazioni o titoli di stato destinate a coprire il deficit pubblico nel bilancio statale.
La presenza di un debito nei conti pubblici statali impone la necessità da parte dello Stato, oltre alla sua copertura finanziaria nei tempi e modalità di scadenza prestabilite dai titoli stessi, di tenerlo sotto controllo per non cadere nel rischio insolvenza e conseguente fallimento dello stesso.
Ma come in un circolo vizioso per ridurre il deficit di bilancio si aumenta il debito e per diminuire il debito si deve agire con gli stessi strumenti summenzionati (tagli alla spesa, aumento delle entrate ecc.) ovvero si emettono nuovi titoli. Sembra paradossale ma per diminuire il debito, per finanziarlo, si aumenta lo stesso debito; con l'inconveniente però di aumentare il rendimento dei titoli atteso dal finanziatore/investitore, perché si tratterà di titoli più rischiosi per l'incertezza di adempimento dello Stato e quindi di aumentare la spesa per interessi.
La presenza di un debito pubblico all'interno del bilancio dello Stato pone il problema del controllo sulla sua espansione. Se il debito è elevato cala fisiologicamente la fiducia dei creditori nel riacquisire i propri capitali ceduti e quindi ne scoraggia l'ulteriore credito con possibile effetto di mancata copertura del debito stesso da parte dello Stato; se cala la fiducia dei sottoscrittori dei titoli sulla capacità del debitore di pagare gli interessi e di restituire il capitale, il finanziamento del debito può allora avvenire solo corrispondendo interessi più elevati cioè offrendo rendimenti più alti dei titoli di Stato. La spesa per interessi aggrava dunque il deficit pubblico facendo ulteriormente aumentare il debito e può innescare un circolo infinito in cui all'aumento vorticoso del debito corrisponde un aumento della spesa per interessi, del deficit e quindi in ultimo del debito pubblico stesso fino alla possibile dichiarazione di insolvenza del debito ovvero al fallimento.
Un'ultima parola che tanto si sente nominare è lo spread, un indice che valuta la rischiosità dei titoli di stato emessi. Abbiamo visto che più lo stato è in deficit e più emette nuovi titoli sempre più rischiosi. Lo spread denota quindi il differenziale tra il tasso di rendimento di un’obbligazione caratterizzata da rischio di default (ad es. un titolo di stato italiano a breve termine) e quello di un titolo privo o a bassissimo rischio preso a riferimento (ad es. un bund tedesco). Se il primo ha un rendimento del 7% ed il corrispettivo bund con la stessa scadenza ha un rendimento del 3% allora lo spread sarà di 7-3 = 4 punti percentuali ovvero di 400 punti base.
L'associazione italiana calciatori ha aderito insieme a molti italiani al Btp Day del 28 novembre, una giornata in cui le famiglie, gli imprenditori e qualsiasi cittadino italiano hanno potuto acquistare i titoli di Stato del nostro Paese senza pagare commissioni di acquisto alla banca. Damiano Tommasi, presidente dell'Aic, ha inviato una lettera ai suoi colleghi calciatori per segnalare l'importanza dell'iniziativa: «In un momento estremamente difficile per l'economia globale, ma soprattutto italiana, l'investimento in titoli di Stato da parte dei cittadini può essere un contributo importante per dimostrare la fiducia che gli italiani hanno nel proprio Paese e per aiutare a migliorare l'aspettativa complessiva che i mercati hanno nei confronti dell'Italia. Pertanto, vi chiediamo di prestare la dovuta considerazione a questo appello». 

Molte delle informazioni citate provengono dalle fonte Wikipedia.

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