In
questo periodo la politica e l’economia sembrano aver costituito un binomio
inscindibile. Ma ci si chiede se sia la prima al servizio della seconda o la
seconda gestita dalla prima? Evitando di rispondere a un tal interrogativo,
vogliamo far notare invece, come nel mezzo di queste due "prime donne" - la politica e l'economia - compaia una figura
maschile quale unico strumento utilizzabile per dar vita e concretezza sia all'una che all'altra: il diritto. Solo con provvedimenti, leggi
o manovre si plasma la realtà, si modifica la situazione sociale e si cerca di
sfuggire alla crisi. Sarebbe quindi più opportuno parlare non di una coppia, bensì di un trio
affiatato, dove le donne (facendo riferimento solo ai generi dei sostantivi), che
si trovano in maggioranza, spesso litigano e discutono animatamente, e
per questo hanno bisogno di un terzo "super partes" che dia loro una via
da seguire.
In
un momento cosi instabile e negativo per il nostro paese, quale è quello che stiamo vivendo, è un dovere conoscere
qualche pillola di definizioni tecniche sia giuridiche sia economiche per
meglio leggere e decifrare gli infiniti articoli che vengono scritti sui
giornali, con un maggior spirito critico (che mai deve mancare). Concentrando l’attenzione
sui termini più usati quotidianamente, cerchiamo di ricostruire in modo molto semplicistico
quali sono le premesse economiche che porteranno nei mesi a venire a importanti
riforme strutturali e nuove leggi.
In
primis occorre tener presente che lo Stato si comporta, in fin dei conti, come qualunque
impresa o famiglia e al pari di esse ha un proprio bilancio, in cui sono
indicate le entrate e le uscite dello Stato in un dato periodo (es. un anno). Il deficit o disavanzo pubblico è
quella situazione economica che si ha quando le uscite
superano le entrate, situazione che deve essere risanata prima possibile, secondo modalità decise dal governo in manovre,
leggi o strategie economico-finanziarie di più lungo periodo. Le uscite (o meglio la spesa pubblica) consistono negli acquisti pubblici, nei
trasferimenti alle amministrazioni locali, alle imprese e ai singoli
(sotto forma di pensioni e altri tipi di sussidi). Le entrate sono invece incassate
dallo Stato tramite le imposte sul reddito dei singoli, sul reddito delle società e altre imposizioni. Il saldo negativo tra
entrate ed uscite rappresenta dunque il deficit o disavanzo. La presenza di esso
si può dunque attribuire ad un eccesso
di spesa o a insufficienti entrate (ad esempio un'alta evasione fiscale o
una bassa crescita economica) che portano nelle casse statali meno denaro di
quanto necessario a coprire i costi della pubblica amministrazione. Per ridurre
il deficit pubblico si cerca di diminuire le uscite statali ovvero tagliare
la spesa pubblica, aumentare le entrate ovvero la tassazione,
diminuire l’evasione fiscale, vendere beni pubblici (privatizzare). Ma,
normalmente, per attuare il risanamento del deficit lo Stato decide di emettere e
vendere titoli di stato con aumento del
proprio debito.
I titoli di stato (buoni del tesoro) sono obbligazioni (titoli di debito) emesse dallo Stato italiano, formalmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, al fine di recuperare capitali e rifinanziare il bilancio. Acquistandoli, gli investitori prestano i loro fondi per un certo periodo, con lo scopo di ottenere una performance (rendimento) congrua rispetto al rischio sostenuto (rischio in inadempimento dello Stato, di sua insolvenza). Questi titoli di stato vanno dunque a costituire il cosiddetto debito pubblico sul quale lo Stato emittente paga necessariamente degli interessi che contribuiscono a loro volta ad aumentare le uscite statali.
I titoli di stato (buoni del tesoro) sono obbligazioni (titoli di debito) emesse dallo Stato italiano, formalmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, al fine di recuperare capitali e rifinanziare il bilancio. Acquistandoli, gli investitori prestano i loro fondi per un certo periodo, con lo scopo di ottenere una performance (rendimento) congrua rispetto al rischio sostenuto (rischio in inadempimento dello Stato, di sua insolvenza). Questi titoli di stato vanno dunque a costituire il cosiddetto debito pubblico sul quale lo Stato emittente paga necessariamente degli interessi che contribuiscono a loro volta ad aumentare le uscite statali.
Il debito pubblico è
quindi quel debito dello Stato nei
confronti di altri soggetti, individui, imprese, banche o stati esteri, che
hanno sottoscritto un credito
allo Stato sotto forma di obbligazioni
o titoli di stato destinate a coprire il
deficit pubblico nel bilancio statale.
La
presenza di un debito nei conti pubblici statali impone la necessità da parte
dello Stato, oltre alla sua copertura finanziaria nei tempi e modalità di
scadenza prestabilite dai titoli stessi, di tenerlo sotto controllo per non
cadere nel rischio insolvenza e
conseguente fallimento dello
stesso.
Ma come in un circolo vizioso
per ridurre il deficit di bilancio si aumenta il debito e per diminuire
il debito si deve agire con gli stessi strumenti summenzionati (tagli
alla spesa, aumento delle entrate ecc.) ovvero si emettono nuovi titoli.
Sembra paradossale ma per diminuire il debito, per finanziarlo, si
aumenta lo stesso debito; con
l'inconveniente però di aumentare il rendimento dei titoli atteso dal
finanziatore/investitore, perché si tratterà di titoli più rischiosi per
l'incertezza di adempimento dello Stato e quindi di aumentare la spesa
per interessi.
La presenza di un debito pubblico all'interno del bilancio dello Stato pone
il problema del controllo sulla sua espansione. Se il debito è elevato
cala fisiologicamente la fiducia dei creditori nel riacquisire i propri
capitali ceduti e quindi ne scoraggia l'ulteriore credito con possibile effetto
di mancata copertura del debito stesso da parte dello Stato; se cala la fiducia
dei sottoscrittori dei titoli sulla capacità del debitore di pagare gli
interessi e di restituire il capitale, il finanziamento del debito può allora
avvenire solo corrispondendo interessi più elevati cioè offrendo rendimenti più
alti dei titoli di Stato. La spesa per interessi aggrava dunque il deficit
pubblico facendo ulteriormente aumentare il debito e può innescare un
circolo infinito in cui all'aumento vorticoso del debito corrisponde un aumento
della spesa per interessi, del deficit e quindi in ultimo del debito pubblico
stesso fino alla possibile dichiarazione di insolvenza del debito ovvero al
fallimento.
Un'ultima parola che tanto si sente
nominare è lo spread, un indice che valuta la rischiosità dei titoli di stato
emessi. Abbiamo visto che più lo stato è in deficit e più emette nuovi titoli sempre più rischiosi. Lo spread denota quindi il differenziale tra il tasso di rendimento di un’obbligazione caratterizzata
da rischio di default (ad es. un titolo di stato italiano a breve
termine) e quello di un titolo privo o a bassissimo rischio preso a riferimento
(ad es. un bund tedesco). Se il primo ha un rendimento del 7% ed il
corrispettivo bund con la stessa scadenza ha un rendimento del 3% allora lo
spread sarà di 7-3 = 4 punti percentuali ovvero di 400 punti base.
L'associazione
italiana calciatori ha aderito insieme a molti italiani al Btp Day del 28
novembre, una
giornata in cui le famiglie, gli imprenditori e qualsiasi cittadino
italiano hanno potuto acquistare i titoli di Stato del nostro Paese senza
pagare commissioni di acquisto alla banca. Damiano Tommasi,
presidente dell'Aic, ha inviato una lettera ai suoi colleghi calciatori per segnalare
l'importanza dell'iniziativa: «In un momento estremamente difficile per
l'economia globale, ma soprattutto italiana, l'investimento in titoli di Stato
da parte dei cittadini può essere un contributo importante per dimostrare la
fiducia che gli italiani hanno nel proprio Paese e per aiutare a migliorare l'aspettativa
complessiva che i mercati hanno nei confronti dell'Italia. Pertanto, vi
chiediamo di prestare la dovuta considerazione a questo appello».
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