lunedì 14 febbraio 2011

Il diritto di voto come una promessa?

Tra i diritti costituzionali garantiti al singolo il diritto politico per eccellenza è: il diritto il voto. Esso esprime infatti la possibilità per i cittadini di partecipare alla vita e alle scelte politiche nelle moderne democrazie. Questa partecipazione si esprime in due fondamentali attribuzioni: diritto, per tutti i cittadini maggiorenni, di votare i propri rappresentanti nelle istituzioni nazionali e regionali (c.d. diritto di voto attivo) e diritto a candidarsi ed essere eletti nelle stesse (c.d. diritto di voto passivo).
Ciò è oggi pacificamente acquisito, ma non bisogna dimenticare che in realtà si tratta di una conquista piuttosto recente. In molti paesi tutt'oggi non esiste una democrazia oppure esiste ma solo formalmente. Più che ripercorrere, però, l'evoluzione e la affermazione storica di questo diritto fondamentale vorrei porre una domanda: qual è il significato proprio del termine "voto"? 
Per rispondere dobbiamo tornare molto indietro nel tempo, almeno fino ai romani.
Anticamente, è particolare, il "voto" non ha alcuna accezione politica né tanto meno consisteva in un diritto del cittadino, anzi raffigurava addirittura il suo contrario: un obbligo! E non uno qualsiasi ma "una promessa fatta alla divinità con la quale ci si obbligava a fare qualcosa a cui non si è tenuti, una obbligazione strettissima che alcuno si impone di far chicchessia". Di conseguenza l'azione di votare aveva un significato di "prometter con voto". Successivamente alla "promessa" si è accostato il significato di "dichiarazione" e il voto è divenuto lo strumento attraverso cui "esprimere la propria volontà per scritto, per voce o per segni".
Tale significato dichiarativo era in precedenza espresso esclusivamente dal termine latino di "suffragio" che, etimologicamente, accenna probabilmente alle tavolette di coccio sulle quali, nelle prime assemblee, venivano segnate incidendo un punto le preferenze. Al suffragio poi si affiancò il voto ed oggi li utilizziamo come sinonimi per riferirci, prevalentemente, al concetto di votazione politica.
Il diritto di voto è inserito nella Parte Prima della Costituzione sui "Diritti e doveri dei cittadini". La componente che mettiamo più spesso in evidenza è appunto quella di essere un diritto, che sicuramente è prevalente rispetto allo speculare dovere.
Infatti nessuna autorità può, in una democrazia, costringere il cittadino ad esprimersi nelle elezioni.
Un diritto riconosciuto a tutti è anche quello della astensione dalla votazione, rinunciando in questo modo  alla possibilità di partecipare alla vita politica del paese.
Tuttavia, salva la facoltà di astenersi, il concetto del voto come un dovere riemerge in almeno due sensi che vorrei sottolineare.
In primo luogo il voto è l'essenza stessa del sistema democratico, che si instaura con le elezioni libere. La forma di Stato democratica nasce proprio per assecondare le esigenze di partecipazione dei cittadini, di tutti progressivamente, alle scelte politiche del Paese in cui vivono e, seppur indirettamente, condizionare l'operato delle istituzioni. E' quindi anche un dovere recarsi alle urne con costanza o impegnarsi politicamente di persona allo scopo di salvaguardare ciò per cui, da sempre, si è sentita l'esigenza di combattere: la libertà di tutti. L'astensione è vero un diritto, ma non lo è assuefarsi ad essa.
In secondo luogo, ed è un profilo più sottile, il voto c.d. attivo è un diritto che va esercitato con responsabilità. La componente del dovere si ritrova qui non tanto nel presente della votazione ma nel suo antecedente temporale: la campagna elettorale. Il diritto di voto per essere "vero diritto" deve essere "informato" e "consapevole", deve rispecchiare una scelta non solo libera ma anche strutturata e valutata mentalmente dai votanti.
Ciò è tanto più importante quanto solo la consapevolezza della propria preferenza può giustificare una valutazione effettiva sull'operato degli eletti i quali, senza paura del confronto con le aspettative "consapevoli" degli elettori, possono esercitare il loro mandato in modo superficiale. Il diritto di voto è, a mio avviso, pieno solo quando sia consapevole e quindi da esso discende un dovere di informarsi prima di esercitarlo.
In quello che stiamo dicendo sembrerebbe ritornare l'antico significato del termine "voto" come impegno ad obbligarsi nei confronti della divinità soprattutto per la solennità, l'oculatezza e la ponderazione con le quali, suppongo, venissero presi tali impegni sacri.
Il voto è un diritto, certo, ma se costantemente non esercitato o se è esercitato in modo inconsapevole rimane solo sulla carta senza tradursi in quella volontà collettiva del popolo che incide violentemente nella vita concreta dello Stato.


Per un nuovo articolo del blog che parla della proposta di modifica dell'età minima per essere eletti al Parlamento, mettendone in rilievo i pregi e i difetti, potete leggere: Un pesce fuor d'acqua

Collegamento ad un post in cui si parla del diritto di voto come strumento in mano a tutti i cittadini di uno Stato democratico per esercitare quel "governo" che loro spetta, al fine di esercitare scelte legislative importanti: Beccaria e il paradosso della volontà di uccidere


A giugno i referendum abrogativi su acqua, legittimo impedimento e nucleare...Leggendoci informa sul voto con due articoli: il primo tratta dell'istituto del referendum abrogativo dal punto di vista giuridico (potete trovarlo QUI) e il secondo parla più direttamente del voto del 12-13 giugno delineando i quesiti, l'iter e i problemi: Il referendum che oggi richiama gli elettori

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