domenica 6 febbraio 2011

Articolo 88 Costituzione: esiste una corretta qualificazione giuridica?

In questo periodo di crisi istituzionale, mi è capitato di leggere in più di un articolo comparso suoi quotidiani la citazione testuale del testo dell'articolo 88 comma 1 della Costituzione, il quale recita:
"Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse"
Ma qual'è la reale portata di questa norma? Da una lettura troppo semplicistica potrebbe sembrare un potere eccessivo attribuito alla discrezionalità del Presidente della Repubblica che, di sua iniziativa, parrebbe avere la prerogativa di sciogliere il Parlamento e, di conseguenza, far cadere il Governo che sulla fiducia di questo si regge. L'elezione di nuove camere è infatti una causa automatica di dimissioni del Governo.
Innanzitutto bisogna ricordare che, secondo l'articolo 89 comma 1 Costituzione,
"nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità".
Il motivo di introduzione di questa norma fu quello di "deresponsabilizzare" il Capo dello Stato per gli atti da lui compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, per questo tutti gli atti del Presidente della Repubblica devono essere controfirmati da un ministro e questi se ne assume, con la firma, ogni responsabilità che ne può derivare.
Ma come deve essere interpretato quel "proponenti"? Significa forse che il PdR non può prendere l'iniziativa per l'adozione di nessun atto e sarà sempre un ministro a proporglielo affinché lui lo compia?
Non è così. Gli atti del PdR, tutti previsti in Costituzione, vengono generalmente suddivisi in quattro diverse categorie. Queste ultime non si ritrovano in nessuna legge ma nascono dalla prassi, cioè dal modo in cui tali atti sono stati di volta in volta concretizzati nel corso della Repubblica ed, in particolare, dal "peso" che per ciascun atto è stato attribuito all'istituto della controfirma ministeriale.
Così, suddividendo, vi sono degli atti sostanzialmente governativi e solo formalmente presidenziali: in essi l'iniziativa e le decisione sul loro contenuto spetta al ministro "controfirmante"(la controfirma è infatti comunque necessaria affinché il ministro si assuma la responsabilità dell'atto), che sarà quindi effettivamente il "proponente" vero e proprio; la firma del Capo dello Stato, necessaria per la adozione, assolverà ad una funzione di controllo formale dell'atto. Per fare qualche esempio rientrano in questa categoria la promulgazione delle leggi e l'emanazione di decreti legge e decreti legislativi.
Una seconda categoria è quella degli atti sostanzialmente e formalmente presidenziali. Qui siamo in una ipotesi rovesciata rispetto alla precedente: l'iniziativa e la scelta sul contenuto dell'atto spettano direttamente al PdR e la controfirma del ministro assumerà il ruolo, che le è logicamente proprio, di assunzione di responsabilità, oltreché di controllo formale. In questo caso il ministro controfirmante non sarà "proponente" ma quello "competente" per la materia in cui rientra l'oggetto dell'atto: in tal senso deve essere interpretata la lettera dell'articolo 89 comma 1. Esempi di atti di questo secondo nucleo possono essere quello di rinvio delle leggi alle camere affinché procedano ad una nuova votazione o potere di grazia.
Una terza categoria è quella degli atti dovuti, cioè imposti dalla stessa Costituzione, la quale ne determina anche il contenuto.  Ad esempio lo scioglimento delle camere al termine naturale della legislatura.
La quarta categoria, quella che ci interessa, è quella degli atti complessi, così chiamati perché in essi iniziativa e contenuto devono nascere da un incontro di volontà fra il Capo della Stato e il Governo, nella figura del Presidente del Consiglio. Proprio un atto complesso è la possibilità di scioglimento anticipato delle camere ex art 88 Costituzione.
Sembrerebbe quindi che questa norma sia stata introdotta per la gestione in modo eccezionale di crisi parlamentari gravi che possano mettere in pericolo la stabilità del Paese. E comunque la decisione sostanziale dello scioglimento, proprio perché comporta conseguenze politiche di grande impatto, viene attribuita alla valutazione congiunta di un organo di garanzia, quale il PdR, e di un organo di indirizzo politico, quale il Governo. In ogni caso è poi il Capo dello Stato che dispone effettivamente lo scioglimento.
Bisogna sottolineare come in realtà questa "qualificazione" del potere ex articolo 88 nel gruppo degli "atti complessi" sia frutto di una elaborazione dottrinale. Una certa parte degli studiosi tende infatti ad inserirlo tra gli atti sostanzialmente e formalmente presidenziali, così che sarebbe confermato quel grande potere attribuito al PdR. Premessa ovvia sarebbe che rimarrebbe possibile utilizzarlo solo in caso di grave crisi istituzionale di blocco parlamentare o inerzia governativa ripetuta.
Tuttavia nella prassi applicativa lo scioglimento deciso solo dal Quirinale non è stata la regola in passato e in tutte le occasioni (10 dal 1948) si è sempre comunque ricercato un accordo istituzionale. E questa soluzione appare in realtà maggiormente in sintonia con il ruolo del PdR dipinto in Costituzione.
Questo non vuol significare che non possa esserci in futuro una inversione di tendenza e, se dovesse instaurarsi una nuova prassi, non dovrà essere invocata la violazione delle norme costituzionali in quanto nulla dicono di preciso a riguardo.


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