mercoledì 23 febbraio 2011

La "mediazione" della Corte Costituzionale in Europa

Come può il diritto europeo, sancito nei trattati o negli atti delle istituzioni quali Parlamento europeo, Consiglio, Commissione essere applicato dai nostri giudici nazionali? Può il singolo cittadino italiano pretendere le tutele espresse in norme europee? Avranno le sue richieste di giustizia una risposta veloce e concreta?
Il livello di integrazione giuridica tra ordinamenti diversi (italiano ed europeo) ha raggiunto ad oggi una profondità mai vista prima in nessun altro tipo di organizzazione internazionale o forma di coordinamento interistituzionale tra Stati. Ed è la sinergia continua tra autorità giurisdizionali (nazionale ed europea) che garantisce e testimonia continuamente questa integrazione.
Riprendendo un precedente articolo, che trattava della cooperazione e vicinanza tra giudice comune italiano e Corte di Giustizia, voglio qui esaminare come la Corte Costituzionale italiana si inserisce in questo proficuo dialogo di giurisdizioni.     
Nel post "L'importanza del dialogo tra giudici" dicevamo come il giudice italiano, qualora si trovi  di fronte ad una norma UE dotata di efficacia diretta, debba darne immediata applicazione nell'ordinamento interno. Se la disposizione europea dovesse presentare dei dubbi interpretativi ha anche la facoltà di chiedere "aiuto" alla Corte di Giustizia, tramite l'istituto del rinvio pregiudiziale, affinché gli fornisca il suo significato e il suo ambito di applicazione.
Ma le norme dell'Unione europea non sono tutte dotate di efficacia diretta, molte richiedono, per far sì che i principi e i diritti in esse racchiusi possano concretizzarsi ed essere invocati dai cittadini dei vari paesi, un atto di recepimento interno per la loro attuazione. Queste vengono identificate come norme non autosufficienti (non self-executing) che per "entrare" nel nostro ordinamento giuridico abbisognano di un intervento ulteriore che di solito promana dal Parlamento nazionale. Il Parlamento con legge dispone l'attuazione della normativa di provenienza europea, affermando esplicitamente che l'ordinamento interno recepisce gli atti dell'Unione Europea e li rende effettivi.
Il problema che affrontiamo è: cosa succede se il giudice si trova di fronte ad un conflitto tra una norma nazionale e norma UE non dotata di effetto diretto che non è stata "completata" da una norma o un atto interno di recepimento e non può quindi essere applicata direttamente dal giudice? Cosa succede quindi se il legislatore non adempie ai suoi obblighi? Come fare a garantire lo stesso la prevalenza del diritto europeo più favorevole per il singolo cittadino, che ne pretende l'applicazione?
L’autorità giurisdizionale dovrà, in primis, fare uno sforzo di interpretazione della norma nazionale in modo conforme al contenuto della prescrizione dell’Unione. Questa operazione non è sempre possibile chiaramente: vi sono casi in cui i contenuti delle due norme sono palesemente divergenti o addirittura contrastanti.
In questa eventualità il giudice sospende il processo italiano, nel quale è venuto in rilievo il contrasto tra norme, e rimette la questione alla Corte Costituzionale.  
Questa è la importante distinzione che è stata affermata in giurisprudenza nel corso degli anni: mentre le norme UE ad efficacia diretta prevalgono sulla norma interna immediatamente e il giudice nazionale le applica subito, una incompatibilità tra norma UE senza effetto diretto e norma nazionale diviene una questione di legittimità costituzionale. In questo caso la norma interna contrastante si presenta in violazione dell'articolo 11 Cost., definito da sempre il "sicuro fondamento" del primato delle norme europee.
La Corte Costituzionale investita del quesito potrà quindi annullare la norma di legge italiana, eliminandola del tutto dall'ordinamento giuridico.
L'annullamento della norma interna da parte della Corte Costituzionale garantisce una piena certezza del diritto, dato che la norma interna viene definitivamente a non esistere più. Mentre la
 semplice ed immediata "disapplicazione" da parte del giudice ordinario della norma interna, a fronte di una norma UE ad efficacia diretta, non comporta una eliminazione, bensì solo una non rilevanza della norma per quel singolo caso specifico sottoposto all'attenzione del giudice nazionale. Questo secondo meccanismo rende sicuramente più spedita l'effettività istantaneità del diritto dell'UE, mancando però di uniformità, dato che un futuro giudice potrebbe comportarsi e decidere in modo differente. 
Con l'intervento della Corte Costituzionale si ha quindi un controllo accentrato, definitivo, certo.
Con i giudici comuni si ha invece un controllo diffuso, immediato ma limitato a quel singolo caso.
L'intervento di più giudici per interpretare una norma, per risolvere una controversia, non può che portare a risultati positivi e soddisfacenti. La cooperazione, il coordinamento e la fiducia reciproca tra giurisdizioni deve essere d'esempio per tutti gli altri protagonisti della vita politica ed economica negli Stati.

Collegamento ad un articolo del blog da leggere in "combinato disposto" con questo "L'importanza del dialogo tra giudici"

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