Leggo in questi giorni sui giornali che il Governo ha approvato un disegno di legge costituzionale che, in mezzo ad altre norme sicuramente positive (ad esempio quella generale per «promuovere la partecipazione dei giovani alla vita economica, politica e sociale della nazione»), una sta invece suscitando un certo dibattito: quella diretta a modificare (abbassandole) le previsioni costituzionali riguardanti l'età minima per il voto attivo e passivo. Vediamo di cosa si tratta più di preciso, quali gli scopi positivi perseguiti e quali sono i problemi che possono essere sollevati.
Qui in Leggendoci abbiamo più volte trattato il diritto di voto quale strumento fondante la democrazia. Lo troviamo in varie norme costituzionali e, per la prima volta, nell'articolo 48, all'inizio del titolo riguardante i "Rapporti politici". Il comma 1 recita:
"Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età"
Quindi sono definiti "elettori" i cittadini che hanno compiuto il 18esimo anno di età.
Un'altra norma rilevante è l'articolo 51 che al comma 1 recita:
"Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere (...) alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge"
Anche se la norma si riferisce a "requisiti" che dovremmo cercare nella "legge", è la stessa Costituzione che si preoccupa di porre i primi e più importanti limiti, tra cui quelli riguardanti le età minime per recarsi alle urne (diritto di voto attivo attivo) e quelle minime per candidarsi ad una carica e venire eletti (diritto di voto passivo). Lo fa in due diverse norme, una per ciascuna delle due Camere che compongono il Parlamento italiano.
L'art. 56 co. 1 ci dice che "la camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto" e, al terzo comma, che "sono eleggibili a deputati gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i 25 anni di età" . Quindi, in poche parole, ricordando la definizione di elettore fornita dal precedente articolo 48 Cost, al compimento dei 18 anni ogni cittadino può votare per la camera mentre, essendovi una limitazione, dovrà aspettare i 25 anni per poter accedervi.
L'art. 58 riguarda invece il Senato della Repubblica. Al comma 1 recita:"i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto da elettori che hanno compiuto il venticinquesimo anno di età" e al comma 2 "sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno di età".
Qui la limitazione tra gli elettori è in duplice senso: si può esprimere la propria volontà elettorale solo a 25 anni mentre bisognerà attendere addirittura fino ai 40 per candidarsi.
Il disegno di legge all'inizio citato intende modificare proprio queste due norme. In che modo? Sia per la Camere che per il Senato si vuole equiparare l'elettorato attivo a quello passivo. Il risultato sarebbe, per la prima, che alla maggiore età si potrebbe sia votare che accedere alla carica di deputato e, per la seconda, la stessa cosa ma al compimento del venticinquesimo anno di età.
Gli intenti di questa proposta di riforma sono pregevoli. Infatti, come sottolineato dalle parole dello stesso ministro per le politiche giovanili Giorgia Meloni promotrice del ddl (recepiente indicazioni bipartisan provenienti dal Parlamento), gli scopi sono quelli di "ringiovanire il parlamento, abbassando l'età media", ridurre i tempi di attesa per i giovani che vogliano candidarsi al Parlamento nazionale "equiparando la soglia di ingresso a quella richiesta per il voto", "adeguarsi a molte grandi nazioni europee quali Germania, Gran Bretagna, Spagna, Olanda, Danimarca e altre che richiedono i 18 anni per ingresso al Parlamento", "far godere appieno dei diritti di cittadinanza prima dei 40 anni" soprattutto i "giovani meritevoli", abbattere l'ipocrisia del giovane immaturo e inesperto di politica. Proprio con riguardo a quest'ultimo punto se le si fa notare che forse i ventenni non avrebbero la necessaria esperienza di vita, oltre che di politica, la Meloni ribadisce: «c'è gente che diventa parlamentare a cinquanta senza nessuna preparazione».
Tutti questi fini e specialmente quelli di "svecchiare" la politica ed abbattere lo stereotipo del giovane "bamboccione", idealista e debole in politica sono sicuramente da perseguire con forza e convinzione.
Ma come molte iniziative anche questa va valutata sotto diverse luci, ponendosi qualche domanda.
Per quale motivo i nostri padri costituenti avevano previsto queste età differenziate per il diritto di voto attivo e passivo? Una prima risposta la si trova nel contesto storico in cui la carta costituzionale fu creata: la fine della guerra e del fascismo. Con una precisa scelta di politica legislativa si scelse un bicameralismo perfetto. Questa locuzione indica un sistema composto da due camere tra cui una assemblea, la Camera, più istintiva, progressista e giovanile (ed infatti le età sono 18 e 25) e l'altra, il Senato, più riflessiva e saggia (25 e 40 anni). L'Italia è uno dei pochi paesi in Europa ad avere un sistema in cui tutti gli atti legislativi ed, in primis, le leggi devono essere approvati "nello stesso identico testo" dai due rami del parlamento: questa è l'essenza del bicameralismo perfetto. In assemblea costitituente si è voluti essere certi che vi fosse una costante riflessione sugli atti del Parlamento, che una camera, avendo gli stessi identici poteri, potesse bloccare l'operato dell'altra e che errori come quello del regime fascista non avvenissero più. Le età poste per l'elettorato attivo e, soprattutto, passivo furono uno strumento pensato al servizio di tale risultato il quale andrebbe quindi tenuto in considerazione nel momento in cui si vogliano riformare le norme che lo sostengono. Potendo affermare che gli intenti dei costituenti sono stati raggiunti bisogna allo stesso tempo evidenziare come siano stati anche superati in negativo portando, molte volte, il sistema a lungaggini, immobilismi ed inerzie parlamentari nel corso della repubblica.
Un'altra considerazione, a mio avviso, importante è quella della preparazione culturale e tecnica dei rappresentanti del popolo. I 25 anni sono l'età media in cui, nella nostra società, un giovane porta a compimento un corso di studi universitario e la previsione di un abbassamento della età potrebbe rappresentare un incentivo a rifiutare la strada scolastica in luogo di quella politica. Non si sostiene qui, badate, che la politica debba essere campo solo per laureati, ma che sarebbe (altresì) opportuno che vi fosse un incentivo alla cultura. Pensiero sicuramente condiviso dagli scrittori della costituzione nel porre l'età minima dei 25. Il deficit di cultura nel parlamento è evidente e sono proprio le nuove generazioni che possono (e devono) colmarlo.
Infine concludo con un'ultima domanda: l'idea di una partecipazione meritocratica dei giovani in politica e di un godimento pieno dei diritti che la democrazia ci offre è veramente sostenibile ed attuabile in un sistema che prevede una legge elettorale ed un sistema partitico come il nostro?
Forse sarebbe il sistema complessivo che andrebbe modificato e non solo le età, poiché questa modifica andrebbe ad inserirsi in un contesto estraneo e a lei ostile. Come "un pesce fuor d'acqua".
Collegamento ad un post strettamente correlato che parla del diritto di voto partendo dalla etimologia del termine cercando poi di evincerne le caratteristiche e immaginarne gli obiettivi: Il diritto di voto come una promessa
Per un articolo sul referendum abrogativo come istituto di democrazia diretta tramite l'esercizio del diritto di voto potete andare QUI
Per un articolo che riporta le opinioni della Meloni riguardo al ddl potete andare QUI
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