lunedì 11 aprile 2011

La bidimensionalità dei diritti religiosi

Il diritto non è solo il diritto di uno Stato, quello internazionale o di una comunità sovranazionale in senso lato (es. diritto dell'Unione europea). Esiste anche il diritto di una comunità religiosa, quale insieme di regole che non si applicano limitatamente all'interno di un determinato territorio bensì, secondo un criterio personale, al di là dei confini geografici degli Stati. Per comunità religiosa intendiamo appunto il gruppo di fedeli di una certa confessione che, indipendentemente da dove siano stanziati, appartengono ad essa tramite un legale solidale molto accentuato. 
I diritti religiosi sono quindi i diritti prodotti da una comunità religiosa, che in questo modo si dota di un ordinamento giuridico vero e proprio, il quale è però caratterizzato da alcune peculiarità rispetto ai diritti secolari, ossia gli ordinamenti degli Stati. 
Prima di tutto un diritto religioso, è un diritto bidimensionale, volto a regolare sia i rapporti spirituali tra uomo e Dio (ad esempio le regole di culto o di preghiera) sia i rapporti temporali, terreni tra uomo e uomo (ad esempio le regole della successione o del matrimonio). Sebbene sussistano delle somiglianze tra i vari diritti religiosi, non tutti presentano la caratteristica della bidimensionalità, manca ad esempio nel diritto canonico. Non in tutte le religioni si assiste inoltre ad una stessa ripartizione ed ad un medesimo modo di produrre norme. A titolo di esemplificazione è utile confrontare la Shari'a ed il Vangelo.  
La Shari'a è la legge raccolta nel Corano e nella Sunna. Letteralmente "la strada",  essa è il diritto divino islamico rivelato da Dio (Allah) al Profeta (Maometto) volto a regolare i rapporti dei fedeli di tutta la comunità islamica (chiamata Umma). Allo stesso modo i Vangeli (o meglio tutto il Nuovo Testamento) sono la legge rivelata da Dio tramite Gesù Cristo ai cristiani sempre per il medesimo scopo, ossia regolare la vita dei fedeli nel mondo terreno e indirizzare a come bisogna vivere per guadagnarsi la vita eterna. 
Se esiste una similitudine nel concetto di rivelazione, di un Dio creatore e legislatore (non è presente in altre religioni) bisogna evidenziare il differente contenuto dei testi sacri suddetti e, conseguentemente, il diverso modo di produrre norme giuridiche. Le fonti di diritto divino islamico sono giuridicamente più complete e precise, contengono un maggior numero di norme dettagliate volte a regolate l'interezza dei rapporti sia temporali che spirituali. Ad esempio nel Corano sono previste con precisione le quote dei legittimari in caso di successione. Invece le fonti di diritto canonico sono più indirizzate a regolare la sola dimensione spirituale della vita di un fedele, l'accento delle norme presenti nel Vangelo è spostato più sull'etica che sul diritto in senso stretto. Inoltre si tratta di norme meno giuridiche e meno precise, ad esempio troviamo la regola "l'uomo non divida ciò che dio ha unito", attraverso l'interpretazione da questa direttiva si fa risalire in un secondo momento la regola sulla indissolubilità del matrimonio. Questa "secolarizzazione" del diritto canonico è dovuta, principalmente, al contesto storico in cui esso si sviluppò. La sua nascita all'interno dell'Impero Romano, un sistema culturale e giuridico decisamente avanzato, fece si che le comunità cristiane, sin dai primi secoli, non avessero bisogno di dotarsi di regole e norme giuridiche regolanti i rapporti di diritto penale o privato. Non dovettero in altre parole inventare nuove norme in quanto poterono sfruttare il già diffuso diritto romano. Mentre altre comunità religiose, quali quella islamica o ebraica, alle loro origini ebbero la necessità di creare regole nuove che disciplinassero non solo aspetti di culto ma che risolvessero anche i problemi pratici della vita quotidiana. La comunità ebraica o meglio le numerose comunità disperse nel mondo si diedero un diritto di questo tipo per esigenze di sopravvivenza, per esigenze di unità; mentre la comunità islamica  se ne dotò per la mancanza di un contesto culturale moderno e sviluppato, in quanto l'islam nacque nel VII secolo in Arabia, lontano dall'impero romano.
Questa eredità storica si è tramandata nel corso dei secoli e non dobbiamo stupirci se la Shari'a è molto più presente nel regolare la vita dei mussulmani di quanto il diritto canonico (il diritto della Chiesa cattolica di Roma) lo sia per i cattolici. Non è solo la tradizione a differenziare questi diritti religiosi, subentrano molti altri fattori storici e culturali a modificarne l'essenza e le finalità, ma non ci soffermiamo su tali argomenti. Vorremmo evidenziare invece come il diritto degli Stati arabi moderni, da non confondere assolutamente con il diritto islamico classico di fonte divina, è maggiormente influenzato e sensibile alle norme della Shari'a contenute nel Corano rispetto a quanto ciò non avvenga  negli Stati a tradizione cristiano-cattolica occidentale. 
Un altro concetto importante è che ogni stato arabo ha un diritto statale differente, ossia è in rapporti più o meno stretti con il diritto religioso islamico; in altre parole, ciascuno stato sceglie quanto spazio continuare a riservare per applicazione di norme religiose o tradotte dalla shari'a e quanto viceversa assegnarne per una produzione codicistica del diritto. Pur discostandosi, a volte apertamente (ad esempio la Tunisia ha abolito la poligamia) ed altre volte modernizzando e "occidentalizzando" rami e discipline dell'ordinamento, l'idea che il diritto religioso, in quanto promanato da Dio, sia gerarchicamente superiore a quello dello Stato (diritto umano) si legge  tra le norme dei vari Stati a maggioranza mussulmana e traspare dall'atteggiamento cauto con cui gli Stati affrontano i rapporti fra tradizione religiosa e modernizzazione. La differenza principale tra i diritti religiosi e i diritti secolari (diritti statali) è che i primi sono legittimati da un'autorità divina, una realtà trascendente ed eteronoma, e soprattutto infallibile, mentre i secondi sono legittimati da un'autorità terrena (in democrazia la volontà dal popolo) e sono ispirati ad ideali di giustizia, coscienza e razionalità. Ciò che manca ai diritti religiosi è proprio il processo di razionalizzazione delle loro norme, le quali continuano a non essere giustificate dalla ragione o dalla coscienza, bensì solo dalla loro provenienza divina. Solo la fede, non la ragione può comprenderle.
Molti sono i temi che si innestano a questi contenuti che abbiamo accennato e auspichiamo di poterli in futuro approfondire, proprio per comprendere più a fondo la differenza tra le società che oggigiorno si incontrano e che portano con sé tradizioni e culture differenti. Per creare una società globale anche nel localismo di un territorio -scusate l'ossimoro- serve in primo luogo essere a conoscenza delle categorie e dei meccanismi delle culture, religioni e diritti altrui. Non dobbiamo stupirci ad esempio se un mussulmano regola (o aspira a regolare) i gesti della propria vita quotidiana (vestirsi, mangiare, sposarsi) o se scandisce il proprio tempo (le preghiere giornaliere) secondo le regole del Corano, questo testo sacro è al contempo anche un testo giuridico con norme strettamente di diritto. E per questo spetterebbe a tutti conoscerlo. 

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