sabato 18 dicembre 2010

Divieto d'uso della forza per gli Stati e per gli individui?

Studiando il diritto internazionale sono venuto a conoscenza di una evoluzione radicale nella concezione dell'uso della forza nella comunità internazionale avvenuta durante il Novecento. Sebbene in tale ambito si riferisca ai rapporti fra Stati, quali enti indipendenti e sovrani, credo che si possa riferire, in via di principio, anche ai rapporti fra i singoli individui.
In passato esisteva un diritto pacifico degli Stati di risolvere le loro controversie ricorrendo alla forza armata. Era anzi, la guerra, il mezzo più diffuso di regolare i conflitti fra di essi, si pensi ai numerosissimi scontri che hanno caratterizzato tutta la storia europea partendo dal Rinascimento per arrivare alla cd "grande guerra" scoppiata nel 1914. 
Tale diritto prendeva il nome di ius ad bellum (ovvero, testualmente, "diritto di portare la guerra") .
L'unica conseguenza che l'esercizio di questo diritto comportava per lo Stato era data dal fatto che il suo statuto giuridico si modificava insieme a quello di tutti gli altri Stati coinvolti , nel momento in cui un conflitto aveva luogo. Dovevano infatti trovare applicazione determinate regole sulla conduzione delle ostilità tra le quali, ad esempio, regole sul trattamento dei prigionieri. Questo gruppo di regole veniva chiamato ius in bello (cioè "diritto nella guerra").
Dopo la prima guerra mondiale iniziò a prendere corpo la consapevolezza della devastazione che i conflitti armati, condotti con misure tecnologiche e armi sempre più avanzate, potevano recare ai territori e alle popolazioni. E, soprattutto, si prese atto della globalità che, anche in questo ambito, iniziava la sua supremazia, ponendosi, tra i punti di vista dai quali si guardano i problemi, come primo da valutare.
Si cercò perciò di arginare lo ius ad bellum attraverso la fondazione di una Società delle Nazioni, una organizzazione internazionale con pretese di universalità, nella quale avrebbero dovuto essere affrontate e risolte eventuali crisi fra gli Stati in via diplomatica.
Purtroppo, da un lato, i meccanismi poco efficienti di relazione fra i membri e dall'altro la sua scarsa effettività (non partecipavano USA e URSS, i veri "attori" del novecento mondiale) portarono il progetto al fallimento.
E quest'ultimo si presentò nella peggiore delle forme: nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale.  Fin ho raccontato una storia che molti conoscono, adesso entra in scena il diritto.
Al termine della guerra si ripresentarono, ulteriormente amplificate, le esigenze di una maggiore diplomazia fra gli Stati e di un loro coordinamento tramite una organizzazione internazionale a partecipazione diffusa (in modo che le sue regole potessero vincolare quanti più soggetti possibili). 
Nacque così, firmata a San Francisco nel 1945 da 51 membri originari nel la Carta delle Nazioni Unite istitutiva della omonima organizzazione (ONU), con l'auspicio primario di
"salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità; riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona" - Preambolo alla Carta
L'obbiettivo primario dell' ONU è fissato nell' articolo 1 nel "garantire la pace e la sicurezza internazionale".
Fu contemporaneamente sancito un principio, all'art 2.4, di "divieto della minaccia e dell'uso della forza nelle relazioni internazionali fra Stati".
Da quel momento è iniziato un processo psicologico di consapevolezza sempre maggiore all'interno della comunità internazionale supportato da un progressivo ampliamento delle Nazioni Unite, sia nel senso numerico di Stati partecipanti sia nel senso delle sue prerogative ed autonomie.  
Ben presto il principio, insieme al correlativo "obbligo di risoluzione delle controversie con mezzi pacifici fra Stati" (art 2.3 Carta), è "passato" da enunciazione scritta nella Carta ad essere uno dei cardini del diritto internazionale generale nelle relazioni fra gli Stati, una consuetudine tra le più importanti. 
Oggi i membri ONU sono più di 192 i quali sono vincolati quindi convenzionalmente a non usare la forza armata ma, anche al di là del sistema della Carta, il principio ha esteso il suo ambito di applicazione tanto che si riferisce ormai alla generalità dei soggetti che, a qualunque titolo, operano nella comunità internazionale. Ciò è dimostrato dal fatto che in tutti i casi in cui la forza viene ancora usata, da un lato, si tende a ricondurla ad una delle pochissime eccezioni ancora ipotizzabili e, dall'altro, viene spesso considerata una violazione alla regola e quindi criticata e condannata come illecito internazionale.
Oggi ci sembra normale la affermazione della pace e condanniamo comportamenti aggressivi sia degli Stati sia di organizzazioni private che utilizzano la violenza per influenzare la politica internazionale, quali ad esempio gli enti terroristici. Cinquant'anni fà tutto ciò era meno pacifico.
Dopo aver delineato questa evoluzione vorrei riprendere, per concludere, quello che dicevo all'inizio: il divieto d'uso della forza si può riferire al comportamento dei singoli individui? Ovviamente non siamo noi vincolati dall'articolo 2.4 della Carta delle Nazioni Unite che si riferisce principalmente al comportamento degli Stati sul piano internazionale. Ma sicuramente quell'obbligo, posto in capo ai Paesi, si traduce in una posizione di vantaggio per tutti noi: siamo "beneficiari di fatto" di una situazione pacifica. 
Proprio per questo il concetto di fondo che la diplomazia sia migliore della violenza è stato il perno di molti movimenti di pensiero negli anni passati. Gli Stati hanno rinunciato "quasi" del tutto a quello che era un loro diritto naturale (lo ius ad bellum) per consentire che si creassero altri diritti, opposti. Certo procedono lentamente in questo cammino che pone la giustizia giustizia della legalità e della diplomazia prima di quella della forza per risolvere le controversie sul piano internazionale, ma procedono. E noi? Non dovremmo forse anche noi  continuare ad impegnarci per contribuire a mantenere questo percorso sulla giusta strada? E inoltre, in quanto beneficiari della pace, non dovremmo coltivarla anche nelle nostre relazioni, tra privati? Io credo di si.

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3 commenti:

  1. Commento? E dai, commento :-)
    Solo per proporre uno spunto di riflessione: quando riusciremo (ma riusciremo?) a raggiungere veramente l'obiettivo della "non-violenza"???
    Ma, soprattutto, quando il Consiglio Di Sicurezza diverrà un organo autoritario a tal punto da poter imporre i principi del diritto internazionale generale su quelli che sono gli illeciti causati dall'uso della forza sul piano internazionale? I comportamenti tenuti dagli Stati Uniti nell'ultimo decennio sono evidente esempio, a mio parere, che il modello onusiano sia in crisi..

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  2. la "non violenza" è più un principio religioso o filosofico, piuttosto che un principio di diritto, maggiormente presente nella concezione orientale che occidentale...
    la "non violenza" è di sicuro un obiettivo, ma essendo alquanto utopico come tale, è forse più semplice usarlo e considerarlo come un principio e un valore che condizioni i nostri comportamenti... più nel presente che nel futuro lontano...
    il Consiglio di Sicurezza è un organo che abbisogna di modifiche strutturali al suo interno, non servono più gli antiquati membri permanenti e deve essere modernizzato in virtù dei nuovi equilibri mondiali... deve anche cambiare la procedura di adozione degli atti... per quanto riguarda la loro vincolatività, essa esite a livello internazionale! il problema è che non esiste un efficiente sistema punitivo delle violazioni delle norme internazionali, in modo ex post...il diritto è di per sè autotitario e porta con sè anche il carattere della forza, ma non della violenza e deve cercare di arginarla, diminuirla, eliminarla, ma soprattutto punirla...
    il modello onusiano è indubbiamente in crisi, forse la coscienza individuale dell'uomo singolo è ancora più in crisi...

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  3. I "membri permanenti" come concezione giuridica, ma ancor di più politica, sono al giorno d'oggi da considerarsi preistorici più che antiquati. Considerando poi il diritto di veto loro garantito, seppur oggi temperato dalla possibilità di astensione, hanno un potere smisurato, soprattutto se teniamo in conto che essi non rappresentano assolutamente le istanze dell'intera comunità internazionale. Sono escluse l'Oceania, il Sud America (Brasile), Sud Est Asiatico (India!), Africa, in base a che criterio?
    A mio modo di vedere è una composizione da rivedere totalmente.
    Certo, la "non-violenza" è sicuramente un precetto maggiormente filosofico che giuridico, ma non per questo non si deve tentare di garantirlo in ogni modo possibile; pare che, come in molti campi, il Potere crei diritti che a chi non lo ha non spettano...

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