martedì 14 maggio 2013

La teoria della prova indiziaria nella fiaba di Cenerentola

Cosa può avere in comune la fiaba di Cenerentola con il diritto processuale civile? 
La risposta sembrerebbe piuttosto ovvia: niente! In realtà, ed è ciò che cercheremo di raccontarvi qui di seguito, in quella favola si trova un solidissimo esempio sull'uso della prova indiziaria nei processi civilistici.
Tutti ci ricordiamo la storia di Cenerentola ragazza umile e bellissima che vive in balia delle malvagità della sua matrigna e delle ingiustizie delle sorellastre molto più brutte e stupide di lei. La bella sfortunata si ritrova, dopo aver conquistato il cuore del principe del regno, a sposarlo divenendo, in un lieto fine, principessa. La versione più celebre della fiaba è sicuramente quella animata da Walt Disney nel secolo scorso, ma già dal 1600 se ne ritrovano, nelle più famose raccolte di favole per bambini, versioni letterarie pregevoli (un esempio classico è quella scritta da Charles Perrault).

La svolta nella vita umile e sottomessa di Cenerentola avviene in seguito alla notizia che il principe terrà un ballo al castello invitando tutte le nobili fanciulle del regno. Ovviamente lei non dovrebbe parteciparvi, in ossequio alla posizione di inferiorità che le è assegnata rispetto alle sorelle, ma grazie all'aiuto della sua fata madrina riesce ad esservi in segreto condotta. Si apre qui una delle scene più famose delle favole di ogni tempo, una di quelle immagini che più riesce a suggestionare la fantasia dei bimbi (specialmente delle fanciulle): quella della fatina che trasforma una zucca dell'orto in una fantastica carrozza, dei topolini in esperti cocchieri, un ratto in un lacché e gli stracci di Cenerentola in un abito bianco, bellissimo, completato con il tocco finale di un paio di finissime scarpette di vetro.
Proprio durante quel ballo il principe si innamora di Cenerentola la quale, purtroppo, deve scappare di corsa allo scoccare della mezzanotte senza che lui sia riuscito a scoprire la sua identità. La fata infatti l'aveva avvertita che l'incantesimo sarebbe durato fino a quell'ora e poi tutto sarebbe ritornato alla normalità.
Stregato dalla bellezza della bella principessa con cui ha ballato il principe decide di scoprire chi sia per poterla sposare. Tuttavia l'unico indizio di cui dispone è una delle scarpette di cristallo che la bella ha perduto sulle scale durante la sua corsa verso la carrozza. Perciò il rampollo reale emana un proclama: "colei che nel regno calzerà la scarpetta diverrà sua sposa!" La storia, come prevedibile si chiude con un lieto fine poiché è la sola Cenerentola ad infilarsi la scarpetta. Ma noi, ponendoci in uno stato di diffidenza maggiore rispetto a quella del principe, potremmo stupirci di quale rischio egli abbia corso nell'affidarsi solamente a questa prova della calzatura per trovare colei che non solo divenisse sua sposa ma anche, di conseguenza, regina del regno. Essendo qui implicata una valutazione di diritto pubblico molto rilevante non ci stupiamo del fatto che l'incaricato regio, nel percorrere in lungo e in largo il reame con la scarpetta per individuare la sposa, fosse più diffidente del principe (quantomeno nella citata versione di Perrault).

Prima di scoprire il perché, introduciamo qualche semplice concetto di diritto processuale in tema di prova, riscontrabile nella favola in esame. La scarpetta, trovata del principe e consegnata all'ufficiale affinché la calzi ad ogni ragazza del regno, è un indizio rispetto all'accertamento della identità nascosta della fanciulla. Con un linguaggio più tecnico si suole parlare di prova "critica" o, ancora meglio, di presunzione. Quest'ultima è un istituto di diritto processuale la cui disciplina, per quanto attiene il processo civile (quello in cui si accerta la identità di un soggetto) è disciplinata, con una storica ma quantomai strana collocazione, nel nostro codice civile agli articoli 2727 e seguenti.
L'articolo 2727 definisce la nozione: 
"Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato".
Definizione molto efficacie che è al tempo stesso chiara e fomentatrice di dubbi per il nostro caso. Chiara in quanto esemplifica divinamente il concetto: la scarpetta indossata dalla ragazza sconosciuta rappresenta il fatto noto attraverso cui si vuole giungere al fatto ignoto, ossia l'identità della stessa. Ambigua perché la storia narrata da Perrault può adattarsi, con implicazioni sociali e giuridiche differenti, tanto alla prima ipotesi che si trova richiamata nella norma (presunzione legale) tanto alla seconda (presunzione semplice). 

Le presunzioni legali o assolute sono quelle contenute in norme di legge che impongono al giudice di trarre una determinata conseguenza in presenza di essa. La maggior forza di questa tipologia è ben evidenziata nell'articolo 2728 c.c. dove si pone a carico della parte convenuta l'onore di dimostrare la eventuale contrarietà della situazione reale rispetto a quella presunta (le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite). Perciò si dice comunemente che le presunzione legali determinano una inversione dell'onere della prova rispetto ad un fatto: sarà la parte pregiudicata dalla presunzione a dover provare la sua infondatezza.
Se poniamo questa prima ipotesi a confronto con la storia di Cenerentola osserviamo che vi può combaciare perfettamente: il principe, emanando l'editto (la più classica delle norme di legge nelle monarchie assolute medioevali), ha stabilito con esso una presunzione assoluta: chi calzerà la scarpetta è presunta Cenerentola indipendentemente dal fatto che lo sia per davvero e dalla necessità di dover addurre alcuna prova ulteriore. Con questa interpretazione processuale il principe si ritrova fortemente "vincolato" alla sua volontà nel senso che qualunque ragazza la quale fosse riuscita a calzare la scarpetta avrebbe potuto beneficiare della presunzione favorevole. Naturalmente anche quest'ultima ammette una prova contraria (nel caso, la prova che la fanciulla non fosse realmente Cenerentola ma un'altra ragazza con lo stesso numero di piede) tuttavia (essendo invertito l'onere) essa avrebbe dovuto essere trovata e dedotta in giudizio dal principe stesso e dai suoi avvocati.

La presunzione semplice è invece tratta dal giudice in ogni caso in cui, in assenza di una presunzione di legge, le regole della comune esperienza consentano di considerare molto probabile un fatto partendo da un indizio. Esse sono regolamentate dall'articolo 2729 che, con linguaggio limpido, chiarifica questo concetto: "le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice (...)". Poiché non sono dotate della maggior forza delle precedenti ciascuna di esse non può mai valere da sola come prova di un fatto. Perciò l'articolo sancisce, proseguendo, l'obbligo per il giudice di non ammetterle se non sono "gravi, precise e concordanti". Se la gravità indica che devono essere indizi consistenti e la precisione che devono essere univoci (cioè portanti verso l'affermazione del medesimo fatto) la concordanza sancisce proprio l'obbligo della pluralità necessaria degli indizi per poter provare un fatto.
Anche la struttura di questa seconda specie di prova indiziaria si ritrova facilmente nella favola che stiamo esaminando e, per comprenderlo, ritorniamo finalmente a parlare della summenzionata diffidenza dell'incaricato reale di fronte a Cenerentola. Egli infatti giunge, nel racconto di Parrault, alla dimora della matrigna della ragazza per indagare la possibilità che una delle due nobili sorellastre sia la misteriosa principessa del ballo. Solo dopo aver assistito al fallimento delle sorelle Cenerentola, vestita dei suoi stracci, si propone al gentiluomo come aspirante indossatrice. Effettivamente la scarpetta le calza a pennello, tuttavia il messo non è soddisfatto solo e soltanto di questo primo indizio (ricordiamoci che è in gioco il trono del regno!) e va alla ricerca di ulteriori elementi per confermare questa presunzione di identità. Ricava quindi un secondo indizio osservando Cenerentola e constatando che ella è molto bella (come tutti avevano potuto ammirarla al ballo) e poi un terzo e definitivo indizio quando lei tira fuori l'altra scarpetta e la indossa. Ecco che, come si dice, se due indizi fanno un sospetto, tre indizi fanno una prova ed il gentiluomo si convince dell'identità della giovane propiziando il lieto fine della favola.
Quale delle due ricostruzioni è corretta? Forse è impossibile dare una risposta perché, in fondo, il diritto e specialmente il processo è un "gioco" di ricostruzioni plausibili. Possiamo quindi tenerle ferme entrambe e confrontarle per cogliere tutte le diverse sfumature che una favola come questa, per quanto possa sembrare "innocua" dal punto di vista giuridico, può dare.

Per un recente articolo in inglese sempre in tema di Diritto e Letteratura, potete leggere: "A jourist who deals with law and literature" 

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1 commento:

  1. Perché non ricordare ai lettori del blog che questo articolo è la rielaborazione di una delle lezioni tenute dal Prof. Cavallone, dell'Università di Milano, per il corso di Diritto processuale civile comparato?

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