lunedì 28 maggio 2012

Mafia, prestanomi e riciclaggio: immissione di capitali illeciti nel mercato


Capita spesso sui giornali di leggere notizie di imprenditori indagati per essere prestanomi di organizzazioni mafiose ed, in quanto tali, accusati di finanziare le loro imprese con proventi derivanti da attività delittuose. Ci si chiede come funzioni questo meccanismo di finzione e perché se una attività di per sé lecita (ad esempio quella di una clinica sanitaria privata) se finanziata con soldi “sporchi” diventi, per questo unico motivo, illecita. Ovviamente essendo consapevoli delle numerose imprecisioni che commetteremo lungo la strada nonché delle peculiarità dei vastissimi esempi di casi concreti che impediscono di fornire una categorizzazione generale certa e assoluta del fenomeno, ci interessa affrontare questo argomento.

Il punto di partenza è, come ha sottolineato spesso anche Roberto Saviano, che gli associati per delinquere di stampo mafioso immettono i guadagni che hanno ottenuto dalla commissione delle attività criminose su due livelli differenti nel tessuto economico. Il primo è il livello illecito ed un secondo è un livello lecito. Questi, in realtà, non possono separarsi così chiaramente nella realtà poiché spesso vi è una perfetta commistione tra l'immissione di capitali nel mercato lecito e le pressioni illecite per ottenere condizioni più favorevoli a tale immissione. Proviamo a chiarificare con un esempio ciò che vogliamo dire.
Il guadagno che la criminalità organizzata ottiene dallo spaccio di droga viene in parte reinvestito per procurarsi nuove sostanze stupefacenti da vendere (immissione a livello illecito) e in altra parte (la maggiore, dato che il guadagno può essere anche maggiore del 100% del prezzo di acquisto) deve necessariamente trovare altri sbocchi sul mercato “normale” (immissione a livello lecito). Sovente la criminalità organizzata si serve di prestanomi per raggiungere questo scopo. Questi sono soggetti che, all'apparenza estranei alla associazione per delinquere nonché estranei alla criminalità in generale, servendosi di tali capitali forniti dalla criminalità organizzata stessa, compiono investimenti sul mercato immobiliare e mobiliare oppure avviano attività commerciali o potenziano quelle che già hanno.
Sono figure particolari di imprenditori che compiono in nome proprio una attività che in realtà è riferibile ad un diverso soggetto, che rimane, per così dire, nell'ombra (e ciò può avvenire per svariati motivi, non per forza illeciti); è quest'ultimo infatti che impartisce le direttive per lo svolgimento della attività nonché, e sopratutto, fornisce le risorse economiche per il suo svolgimento. E alla fine è il c.d. imprenditore occulto che ottiene gli utili della gestione.
Questa complessa figura giuridica (interposizione fittizia di persona) è stata molto studiata e discussa dalla dottrina e giurisprudenza che ne hanno fin da subito evidenziato i rischi di eventuali aggiramenti di norme e controlli, con la conseguente impunità dei reali responsabili dei comportamenti illeciti o negligenti. E ciò non solo nel campo peculiare della criminalità organizzata, si pensi ad esempio alla difficoltà di far fallire, in caso di crisi dell'impresa e conseguente stato di insolvenza della stessa, l'imprenditore occulto con il suo patrimonio ingente in luogo de semplice prestanome di solito nullatenente.
Non bisogna pensare che questo schema sia l'unico e valido per tutte le situazioni concrete in cui capitali illeciti vengono immessi nel mercato lecito. Inoltre è da evidenziare il fatto che il numero dei passaggi tra imprenditore reale e prestanomi sono di solito numerosi ed ulteriormente complicati dalla forma societaria tipica della attività di impresa.
Tuttavia per le domande che ci eravamo posti all'inizio questo schema è utilizzabile per rispondere alla prima domanda: non sempre, ma spesso i soldi guadagnati da attività mafiose entrano nel mercato lecito attraverso imprese gestite da prestanomi. A riprova del fatto che questa è la strada maestra seguita dalla criminalità organizzata vi è anche l'evolversi delle metodologie investigative: queste sono oggi incentrate maggiormente rispetto al passato proprio sullo scoprire i prestanomi (magari individuati a seguito di una sospetta ampia disponibilità di denaro) e colpire la mafia nelle sue attività e sostanze economiche.

La seconda domanda che ci siamo posti era se, queste attività di impresa (ad esempio impresa edile o sanitaria privata) finanziate da fondi illeciti siano di per se stesse illecite e, se ciò è vero, perché? Sembra logico che tali imprese siano inquadrabili nel novero di quelle intrinsecamente illecite, ossia la cui attività sia proiettata in modo specifico alla commissione di reati. E ciò sia nell'ipotesi di esclusività del fine, sia nell'ipotesi di mera prevalenza dello stesso. L'unico scopo di tali imprese è quello di consentire o agevolare la commissione di reati.
Si pensi al caso di una società, impresa edile, finanziata esclusivamente o prevalentemente con proventi di attività criminose mafiose: la sua attività è finalizzata, quanto meno, al reato di riciclaggio di denaro.

Riciclaggio secondo l'articolo 648–bis del Codice Penale: “Fuori dai casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni e con la multa da euro 1032 a euro 15.493.”

Come si può leggere dalla norma, la nostra impresa o imprenditore prestanome che finanzia la sua attività con soldi illeciti è finalizzata in modo, quantomeno prevalente (se non esclusivo), a compiere operazioni che ostacolano l'identificazione della provenienza delittuosa di tale denaro e, per ciò stesso, tali imprese sono spesso intrinsecamente illecite anche se, magari, non fanno esse parte della organizzazione criminale vera propria ma operano al suo esterno.

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