venerdì 27 maggio 2011

Il rapporto tra il diritto al referendum e il potere legislativo

Un commento ad un precedente articolo del blog "Il referendum che oggi richiama gli elettori", ha posto una domanda degna - secondo noi - di una non breve e dovuta risposta. Il riferimento è al passaggio in cui si afferma la lesione di un istituto di democrazia diretta, quale è il referendum abrogativo (in particolare quello indetto per il prossimo 12 e 13 giugno), da parte del legislatore che ha deciso di porre in essere una nuova normativa ad hoc (il decreto omnibus) che modifica quella oggetto di referendum, prima dello svolgimento dello stesso. L'intervento del nostro amico e lettore è il seguente:

Oltre che sotto il profilo della coerenza politica, non credo che sia possibile, neanche dal punto di vista strettamente tecnico-giuridico, sottrarsi alla consultazione popolare già indetta, attraverso una mera modificazione della disposizione legislativa oggetto di referendum. Difatti credo che sussista una sostanziale differenza tra gli effetti collegati ai due tipi di interventi: da un lato, quello legislativo esprime una volontà abrogativa potenzialmente suscettibile di revoca; d'altro lato, l'effetto abrogativo generato dal referendum non potrà essere rimosso, secondo la dottrina meno rigorosa, almeno per tutto il corso della legislatura. Per cui, credo che, nonostante il dato letterale della normativa primaria referendaria (cfr. art.39 della legge 25 maggio 1970, n. 352 “Se prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o l’atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l’Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso”), una lettura costituzionalmente orientata della faccenda, dovrebbe spingere la Cassazione a far celebrare comunque il referendum. Voi "Duemacchie" che ne pensate?
La domanda posta è in poche parole questa: può il legislatore, dopo che sia stato già indetto un referendum abrogativo su una norma, modificare quella norma per bloccare o rendere inutile il referendum stesso? 
Il nostro lettore Francesco propone già una articolata e persuasiva risposta argomentando in modo logico partendo da una differenza importante: è diverso se una legge viene "cancellata" (abrogata) da una legge successiva fatta dal parlamento piuttosto che da un referendum abrogativo per opera dei cittadini, perché nel secondo caso l'effetto sarebbe più forte e maggiormente vincolante per il legislatore. In ogni caso quindi un referendum indetto volto ad eliminare una precedente legge, che gli elettori non vogliono più, non dovrebbe poter essere bloccato "in itinere".

Autorevole dottrina afferma che la fiducia riposta dagli elettori nel parlamento non può essere lesa da quest'ultimo con una riproposizione della legge che è stata oggetto di referendum e quindi volutamente abrogata dai cittadini. L'opinione più rigorosa afferma che le camere non potrebbero mai più rifare una simile legge, mentre quella meno rigorosa afferma il divieto almeno per la legislatura nel corso della quale è avvenuta l'abrogazione referendaria. In poche parole tutti concordano sul fatto che, se i cittadini non vogliono più una legge, il parlamento non può rifarla almeno fino allo scadere del mandato. Se poi sarà eletto un nuovo parlamento, magari di colore politico diverso, nulla vieta che possa essere reinserita la normativa abrogata col referendum (secondo la dottrina meno rigida). Avendo esposto fin ora l'atteggiarsi dei rapporti tra referendum e potere legislativo dopo la conclusione del primo, ora ci si chiede se il parlamento possa intervenire prima dell'esito del referendum stesso? Ci sarebbe una lesione della fiducia degli elettori anche in questo caso? Può il parlamento in poche parole bloccare un referendum già indetto?
Come affermato dall'art. 39 della legge 352 del 1970 sembrerebbe, stando al testo della disposizione, che ci sia una risposta affermativa: il parlamento può legiferare in corso di iniziativa referendaria, abrogando o modificando la legge oggetto del referendum. Testualmente l'art. 39 dispone che: se "la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l'Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso". Ma l'articolo in questione è stato oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale per violazione dell'art. 75 della Costituzione (diritto al referendum). La sentenza è la numero 68 del 1978 e di essa riporto qui di seguito alcune parti e passaggi rilevanti.
Chi sosteneva l'illegittimità dell'art 39 della legge affermava che il legislatore non può sottrarsi alla verifica popolare e deve limitarsi ad accettare l'abrogazione della legge, cosi come risulta dopo la consultazione; esso "al di là di un certo terminenon deve attivarsi o comunque non può dare luogo ad un blocco delle operazioni referendarie" iniziate. Del resto, ogni altra interpretazione dell'art. 39 conferirebbe all'Ufficio centrale (ossia la Cassazione) poteri di gran lunga eccedenti le previsioni della legge n. 352 del 1970, facendo dipendere dalle sue decisioni - emesse senza alcun contraddittorio - l'indizione del referendum abrogativo. 
La Corte prima di decidere si sofferma sui rapporti esistenti tra le richieste di referendum abrogativo e gli atti legislativi che producano, prima dell'effettuazione dei referendum, l'abrogazione delle leggi. E si chiede: può la legislazione ordinaria essere paralizzata o limitata, nel corso dei procedimenti per il referendum? Può quest'ultimo interferire con la funzione legislativa conferita alle Camere dall'art. 70 della Costituzione? I sostenitori dell'illegittimità dell'art 39, affermavano che la presentazione delle richieste di referendum abrogativo determina un effetto di "prevenzione", preclusivo di ogni intervento del potere legislativo. La tesi, per la Corte, è infondata. "In base all'art. 70 Cost., la funzione legislativa ordinaria è potenzialmente inesauribile", essa cioè può venire esercitata sempre e comunque, secondo la discrezionalità del legislatore e non può essere bloccata durante l'intero corso del procedimento referendario per le materie oggetto dei quesiti. Infatti la nuova legge fatta dal parlamento ben potrebbe portare ad un esito identico a quello del referendum (se fosse stato fatto), o comunque ben potrebbe disciplinare la materia in questione in virtù di "nuovi bisogni e problemi (sorti dopo l'indizione del referendum), di fronte ai quali sarebbe assurdo che al potere legislativo venisse impedito d'intervenire tempestivamente".
Quindi in definitiva "le Camere conservano la propria permanente potestà legislativa anche successivamente alla stessa indizione del referendum abrogativo".
Di conseguenza, il rispetto del diritto al referendum non pone problemi di legittimità delle leggi, ma resta demandato alla sensibilità politica del Parlamento.
La Corte prosegue: "s'intende per altro che gli effetti abrogativi (di una nuova legge), in quanto incidenti sull'oggetto del quesito referendario, non possono non ripercuotersi sulla corrispondente richiesta"
La regola vuole che il corpo elettorale non possa fare un referendum abrogativo di leggi che già siano state abrogate (ma solo di leggi ancora in vigore, altrimenti non avrebbe senso). Ed è qui che trova fondamento l'art. 39 suddetto: se la legge oggetto di referendum viene abrogata (prima della pronuncia dei cittadini) l'Ufficio centrale della Cassazione dichiara che le operazioni relative non hanno più corso. La corte dice: "vengono cosi frustrati gli intendimenti dei promotori e dei sottoscrittori del referendum abrogativo... Effettivamente, con la previsione e con la garanzia costituzionale del potere referendario non è conciliabile il fatto che questo tipico mezzo di esercizio diretto della sovranità popolare finisca per esser sottoposto a vicende risolutive che rimangono affidate alla piena ed insindacabile disponibilità del legislatore ordinario: cui verrebbe consentito di bloccare il referendum, adottando una qualsiasi disciplina sostitutiva delle disposizioni assoggettate al voto del corpo elettorale. L'art. 39 della legge n. 352 del 1970 dev'essere allora considerato illegittimo, per contrasto con l'art. 75 Cost., nella parte in cui non predispone adeguati mezzi di tutela dei firmatari delle richieste di referendum abrogativo."
Quindi la corte propone due diverse soluzioni:
1. "Se l'intenzione del legislatore - obiettivatasi nelle disposizioni legislative sopraggiunte - si dimostra fondamentalmente diversa, la nuova legislazione non è più ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria: in quanto non si può presumere che i sottoscrittori, firmando la richiesta mirante all'abrogazione della normativa già in vigore, abbiano implicitamente inteso coinvolgere nel referendum quella stessa ulteriore disciplina successiva (e il referendum ex art. 39 si blocca);
2. Se invece l'intenzione del legislatore rimane fondamentalmente identica, malgrado le innovazioni di dettaglio che siano state apportate, la corrispondente richiesta non può essere bloccata, perché diversamente la sovranità del popolo verrebbe ridotta ad una mera apparenzaIn quest'ultima ipotesi, la nuova disciplina della materia realizza per intero i suoi normali effetti abrogativi, impedendo che il referendum assuma tuttora ad oggetto le disposizioni già abrogate". Ma la consultazione popolare deve svolgersi pur sempre, trasferendosi dalla legislazione precedente alla legislazione così sopravvenuta. Questa è secondo la Corte "la strada costituzionalmente obbligata per conciliare la permanente potestà legislativa delle Camere con la garanzia dell'istituto del referendum abrogativo".
"In questi termini, l'Ufficio centrale della Cassazione per il referendum è dunque chiamato a valutare se la nuova disciplina legislativa, sopraggiunta nel corso del procedimento, abbia o meno introdotto modificazioni tali da precludere la consultazione popolare, già promossa sulla disciplina preesistente: trasferendo od estendendo la richiesta, nel caso di una conclusione negativa dell'indagine, alla legislazione successiva. Corrispondentemente, alla Corte costituzionale compete pur sempre di verificare se non sussistano eventuali ragioni d'inammissibilità, quanto ai nuovi atti o disposti legislativi, così assoggettati al voto popolare abrogativo". Questo sarà quindi il compito che la Cassazione e la Corte Costituzionale saranno chiamate a svolgere se il cd decreto omnibus verrà approvato entro il 30 maggio.

Grazie ancora Francesco per lo spunto che ci hai dato a trattare un tema molto importante e di "vitale" attualità.


Collegemento all'articolo citato all'inizio sul referendum indetto per il prossimo giugno: Il referendum che oggi richiama gli elettori


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