Gli scrittori sono spesso attratti dalla psicologia criminale. E' questo il motivo per cui in molti libri "gialli" l'autore si diverte a tratteggiare il proprio personaggio definendone principalmente i tratti psicologici e costruendo la figura dei protagonisti dal punto di vista "interiore". Una maestra indiscussa di questa modalità è stata Agatha Christie, la quale ha addirittura impostato la soluzione dei misteri nei suoi libri sulla base della sola psicologia. Non per niente il suo investigatore più celebre Hercule Poirot utilizza sempre la sue "piccole cellule grigie" sopratutto per analizzare i caratteri dei personaggi, la loro psiche, sull'assunto che è da questa che si comprendono o, per lo meno, si giustificano le loro azioni e comportamenti (ovviamente sulla base del presupposto che siano pienamente capaci di intendere e di volere, siano cioè persone di mente e stato "normali").
Ci sono altri casi in cui gli scrittori non costruiscono i propri personaggi, ma si appropriano dei protagonisti di fatti criminosi realmente accaduti. Poiché alla repressione del crimine è preposto, soprattutto, il diritto penale e di procedura penale le vicende descritte si svolgeranno spesso durante le indagini, in un processo, in carcere o in altri luoghi o momenti legati alla amministrazione della giustizia.
Sovente quindi la letteratura usa il diritto per analizzare soggetti dalla psiche particolare.
Un esempio molto chiaro di questa tendenza lo si ritrova nel piccolo libricino di André Gide, premio nobel per la letteratura nel 1947, "Il caso Redureau".
E' bene precisare fin da subito però una cosa: se poco fa si è scritto che lo studio della psicologia dei protagonisti può condurre in un libro giallo alla soluzione positiva o comunque alla comprensione di un caso, in questo libro (che racconta fatti reali) ciò non avviene.
Gide non scrive senza cognizione. Egli, probabilmente affascinato da quel meccanismo che spesso sfugge alla comprensione dei "non tecnici" qual'è l'amministrazione della giustizia, nel 1912 fece parte come giurato della Corte di Assise di Rouen. Egli era curioso: voleva entrare e vedere da vicino quei luoghi (i tribunali) in cui degli uomini fanno il mestiere di giudicare altri uomini. Al termine di quella esperienza giungerà ad affermare che: "è cosa completamente differente osservare l'esercizio della giustizia o partecipare ad esercitarla. Quando si è fra il pubblico vi si può credere ancora. Seduto sul banco dei giurati si ripensa alla parola di Cristo: non giudicate."
Il caso Redureau è uno dei racconti che compongono la raccolta "Ne jugez pas" ("non giudicate") in cui Gide vuole raccogliere esempi di casi che sfuggono alle regole della psicologia tradizionale e sono sconcertanti dal punto di vista giudiziario.
Redureau è un ragazzo di quindici anni che, senza apparente motivo, assassina brutalmente sette persone (il suo datore di lavoro signor Mabit, la di lui famiglia e anche la loro cameriera Marie Dugast).
L'assassino compie il primo delitto senza motivo, forse in preda ad un raptus dovuto ad un rimprovero. Prosegue poi con gli altri delitti con il solo scopo di coprire il primo, quindi senza premeditazione. Viene però subito arrestato, confessa (le prove sono comunque schiaccianti) e, dopo il processo, viene condannato al massimo della pena possibile per un minore: vent'anni di reclusione. Egli morirà in carcere.
Il libro non parla della vita di questo ragazzo, ma dei momenti salienti del processo: il racconto del fatto, le testimonianze, l'arringa dell'avvocato difensore e, soprattutto, si concentra sulla perizia medica.
Proprio i medici che, a seguito di una analisi comunque dettagliata (anche se fondata sui dettami della psicologia tradizionale di quel periodo), emettono una valutazione di psicologia "normale" e non patologica del ragazzo, sono oggetto delle valutazioni dello scrittore Gide. Egli critica il sistema giustizia che, in molti casi, si fonda esclusivamente sulle asserzioni degli psichiatri i quali, mostrando grande certezza nelle loro affermazioni, possono determinare non solo la presenza o meno di una condanna ma, soprattutto, l'ammontare della stessa.
Nel caso Redureau i medici dicono, sostanzialmente, che il ragazzo, nel momento in cui ha commesso i delitti, era pienamente cosciente di tutte le sue facoltà. E, come in molti altri casi ancora attuali, se all'imputato non vengono riconosciute le caratteristiche tipiche della demenza esso viene riconosciuto pienamente responsabile. Mentre la mancanza o la riduzione, anche temporanea, della capacità di intendere e di volere riscontrata da una perizia può essere sufficiente ad assegnare circostanze attenuanti per la riduzione della pena. Per Redureau non verrà applicata nessuna attenuante, ma solo aggravanti.
Un altro punto di critica del senso della giustizia che traspare dalle pagine del libro è questo: Redureau è un ragazzo che viene da buona famiglia, un lavoratore instancabile, un ottimo alunno anche grazie alla sua intelligenza, egli è insomma un ottimo soggetto. Proprio per questo non avrà nessun vantaggio da questa condizione; vantaggi (attenuanti) che, probabilmente, lo avrebbe portato a casa se fosse stato un ragazzo difficile o proveniente da una famiglia difficile. Anche qui Gide vede una certa inversione dei canoni di giudizio che, secondo lui, dovrebbero guidare le giurie.
La sentenza, conclusiva del processo, sancisce la condanna in modo definitivo. Nonostante nel caso in esame il movente non si trovi: né furto, né gelosia né odio. "Nel libro Gide invece cerca di andare più a fondo nella psicologia del ragazzo, ricostruendo la catena di motivazioni di un gesto che va al di là della razionalità, ma che la ragione comunque si deve sforzare di spiegare (come dovrebbe fare la giustizia)."
Gide ne "Il caso Redureau" dimostra e mette alla luce quanta psicologia ci sia all'interno dei processi penali e il senso di impotenza della giustizia di fronte all'irrazionalità di alcuni eventi "misteriosi" per la cui risoluzione deve affidarsi a mere perizie mediche o valutazioni estranee al soggetto agente che non soddisfano pienamente la sua esigenza di razionalità.
Gide ci aiuta, allo stesso tempo, con questo suo libro, a mantenere sempre e comunque una speranza che la ragione, anche se non entrata nei processi, rimanga sempre nelle facoltà di esercizio dell'uomo.
Per un collegamento ad un articolo del blog di Law and Literature dove si svolgono considerazioni sopra "Lo straniero" di Albert Camus, capolavoro incentrato anche'esso sulla descrizione diretta di un procedimento giudiziario, potete leggere: "Colpevole e straniero: un processo letterario"
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