mercoledì 12 dicembre 2012

Il percorso fino all'attuale legge elettorale

Prendendo spunto dalle sagge parole del docente di Diritto Costituzionale dell'Università Statale di Milano - Nicolò Zanon - proponiamo una breve analisi storica delle precedenti leggi elettorali e del bisogno di cambiamento di quella attuale. 
La scelta di una legge elettorale, come qualsiasi normazione positiva, risponde ad esigenze plurime che si manifestano nel contesto economico-sociale del paese ed in questo caso all'interno del più ristretto contesto politico. Sussiste infatti un'influenza reciproca tra sistema elettorale e sistema dei partiti: in base ad una precisa legge elettorale i partiti si costituiscono in un determinato modo (se vige il sistema proporzionale ad esempio si incentiva la nascita di un pluralismo di partiti) e viceversa, in base alla forma dei partiti esistenti si preferisce una legge idonea a garantire loro la spartizione dei seggi. Come ogni legge, anche quella elettorale altro non è che uno strumento, studiato e creato attraverso una democratica discussione bicamerale, durante la quale non sempre è la maggioranza a vincere o la minoranza a proporre modifiche, ma più spesso è il compromesso ad avere la meglio.
Non esiste quindi un sistema elettorale migliore di un altro dal punto di vista ideologico. Ma una domanda giunge lesta: con quali criteri scegliere una legge lettorale? O meglio, esistono dei principi superiori nella nostra Costituzione, che invocano la preferenza per un sistema piuttosto che un altro? 
La nostra Carta non ha preso posizione sul tema, ma non mancano studiosi propensi all'inserimento di nuove norme costituzionali sul tema della legge elettorale, affinchè una maggior stabilità del sistema stesso venga garantita senza il costante rischio che estemporanee modifiche possano modificarlo. Altri studiosi ritengono che non sarebbe irragionevole inserire una norma secondo la quale eventuali modifiche elettorali poste in essere da una determinata maggioranza abbiano efficacia a partire dalla legislatura successiva, con lo scopo appunto di evitare un uso egoistico e strumentale della legge elettorale. Un'obiezione è semplice da farsi a questa idea: nessun Parlamento si affaticherebbe nel legiferare se il frutto del suo lavoro non riesce ad esplicare subito gli effetti. 
In Italia il sistema più amato è sempre stato il sistema proporzionale, che permette ai singoli partiti di legittimarsi e di esistere relativamente ai voti ricevuti e al consenso espresso dagli elettori. Dopo la caduta del fascismo e del totalitarismo era forte il bisogno di una vasta legittimazione democratica dei partiti e di un sistema che garantisse a questi ultimi, dai più piccoli ai più grandi, una presenza in Parlamento. Dal 1948 al 1993 il sistema elettorale vigente permetteva, con le basse soglie di sbarramento previste, a tutti i partiti di esistere e avere voce, ma al contempo rendeva necessarie alleanze post elezioni per la formazione di una maggioranza idonea a governare. Questi avvicinamenti tra partiti ingrassavano in particolar modo quelli di centro (la DC), i quali per decenni hanno sempre vinto, impedendo in pratica un ricambio di dirigenza all'interno del Parlamento e del Governo. Vi è da aggiungere che le coalizioni post elezioni si presentavano come disomogenee (perchè create solo per raggiungere i voti necessari ad avere una maggioranza in grado di "fiduciare" un governo) e soprattutto poco stabili (duravano, di solito, al massimo un anno). 
 A partire invece dal 1993, la crisi socio-politica insieme alla esigenza di governi più compatti e duraturi hanno fatto si che la prospettiva cambiasse. La legge elettorale ha optato infatti per il sistema maggioritario. La modifica si è avuta non attraverso la difficile e lunga procedura legislativa, bensì attraverso lo strumento popolare del referendum abrogativo, c.d. manipolativo. Cambiare la legge elettorale è infatti estremamente difficile all'interno delle Camere per la presenza di troppe e diverse opinioni e la troppa litigiosità dei partecipanti alla discussione. La riforma del sistema elettorale a seguito dell'intervento del referendum è stata attuata col c.d. Mattarellum (la legge Mattarella). Si trattava di un sistema misto, secondo il quale il 75 % dei seggi uninominali erano assegnati alla coalizione che essendosi formata precedentemente alle elezioni otteneva la maggioranza dei voti, mentre il rimanente 25% era assegnato in via proporzionale. Tale sistema misto, anche detto Minotauro, ha avuto un effetto aggregatore per i partiti e di accentuazione della rilevanza dei due poli, a discapito del precedente quasi monopolio delle forze di centro. Gli effetti positivi del Mattarellum furono la logica di aggregazione pre elezione (senza sorprese successive a danno del principio di trasparenza per il cittadino che vota) e la logica di anti-frammentazione dei partiti e stabilità del governo (a favore di un bipolarismo invece di una pluralità infinita di mini-partiti). Altro aspetto di rilevante innovazione è stato il raggiungimento nelle mani degli elettori della facoltà di poter scegliere e votare direttamente il leader della coalizione che avrebbe senza forti dubbi ottenuto l'incarico di Primo Ministro del Governo da parte del Presidente della Repubblica (sebbene la discrezionalità di quest'ultimo permanga formalmente). Così i cittadini hanno iniziato a votare non solo per il Parlamento ma anche direttamente per il Governo. Un elemento negativo di questo sistema misto è stato determinato però dalla prassi, poichè i partiti vincenti della coalizione - una volta ottenuti i voti necessari - si spartivano i seggi assegnati con una conseguente frammentazione interna alla maggioranza stessa, minando la stabilità del governo a causa dei possibili ricatti. La logica di aggregazione e anti-frammentazione del Mattarellum, finalizzata all'accentuazione di un bipolarismo più occidentale, veniva così incrinata. 

Nel 2005 assistiamo ad un capovolgimento del sistema finora descritto, con l'emanazione dell'ancora attuale legge elettorale, il c.d. Porcellum (lo stesso Ministro Calderoli definì la legge una "porcata" e da qui il nomignolo). La particolarità di questa legge è stata la rapidità con cui venne approvata (circa 20 giorni tra Camera e Senato) e la grande maggioranza che l'ha votata (Forza Italia, Lega e Udc, con la finta opposizione della Sinistra). Gli interessi coinvolti erano i seguenti: il centro-destra temeva di non vincere con la regola dei seggi uninominali mentre l'Udc era propenso ad un sistema proporzionale in cui potesse avere voce e forza politica anche grazie alla formazione di coalizioni post elezioni prevalentemente posizionate al centro. Il porcellum ha creato un sistema elettorale proporzionale senza preferenze, in cui l'elezione dei canditati deriva dalla loro presenza e posizione nelle liste bloccate scritte dalle segreterie dei partiti e non dall'elettorato (a cui viene impedito di scegliere chi votare). Gli apparati dei partiti possono in tal modo predisporre liste eterogenee e poco trasparenti, inserendo ai primi posti personaggi capaci di portare voti al partito e non secondo una selezione in base al merito. Il premio di maggioranza viene dato alla Camera su base nazionale invece al Senato su base regionale (sulla base dell'art. 57 della Cost. secondo cui il Senato è eletto su base regionale), con il rischio altissimo di formazione delle due Camere con basi diverse e con maggioranze diverse (il che comporta non pochi disguidi). Basti pensare al governo Prodi del 2006 in cui al Senato mancava la maggioranza ed erano indispensabili per l'approvazione delle leggi i voti dei senatori a vita. Secondo il Professor Zanon non è corretta questa deduzione normativa, in quanto l'art. 57 Cost. è un semplice omaggio a idee federaliste ma non avrebbe dovuto essere letto per differenziare le regole di attribuzione del premio di maggioranza. Venne mantenuto l'elemento positivo della scelta da parte dei cittadini di una maggioranza, il cui leader sarebbe diventato il Presidente del Consiglio. Ma sicuramente uno dei difetti maggiori del Porcellum, per alcuni un vero e proprio elemento distorsivo e anti-democratico, è la portata del premio di maggioranza. Alla maggioranza che vince viene dato il 55% dei seggi a prescindere dal raggiungimento di un numero minimo di voti. Ad esempio anche con un 33-35% di voti si ottengono il 55% dei seggi (la maggioranza assoluta certa). La Corte Costituzionale ha varie volte invitato il Parlamento a riflettere sulla ragionevolezza di questo premio soprattutto all'interno di un sistema partitico frammentario e non totalmente bipolare. Le esperienze che abbiamo nella vigenza di questa legge sono state la prima col governo Prodi nel 2006, in cui la maggioranza era troppo frammentata al suo interno ed ebbe vita breve. Poi nel 2008 ci sono state nuove elezioni, il cui esito pensiamo sia a tutti noto. Non ci resta che attendere per sapere come andrà a finire. 

Collegamento ad un correlato articolo del nostro blog: Il diritto di voto come una promessa?

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