venerdì 16 marzo 2012

Il diritto alla vita familiare non è un diritto solo eterosessuale

C'è chi parla già, forse enfatizzandone eccessivamente la reale portata, di "sentenza storica". Certo è che quella emessa ieri dalla Corte di Cassazione sia una pronuncia caratterizzata da un forte grado di modernità. Infatti nel testo della sentenza si legge l'innovativo orientamento per cui l'ordinamento italiano attuale, integrato a livello primario dalle norme sulla CEDU, assicura alle coppie omosessuali la titolarità del "diritto alla vita familiare" nonchè quello di una sua tutela giurisdizionale "per far valere un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata".
Letto così, come riportato dai giornali, può sembrare totalmente rivoluzionario rispetto al pensiero dominante nella nostra società. Si impongono quindi alcune precisazioni, la prima delle quali è una minima descrizione del fatto di vita quotidiana cui tale pronuncia afferisce. 
La Cassazione infatti non pronuncia, come spesso i giornali lasciano erroneamente trasparire, sentenze "erga omnes" e cioè con interpretazioni valide per tutti i casi futuri analoghi. Le pronunce della Suprema Corte si riferiscono allo specifico caso concreto sottoposto all'attenzione dei magistrati che la compongono. Certo essendo giudice di ultima istanza nonchè quello deputato all'interpretazione ultima delle norme di legge (in modo da assicurarne l'uniformità), ciò che viene da essa espresso (in particolare quando si pronuncia a Sezioni Unite) non può non essere influenzante per i giudici che si pronunceranno su futuri casi analoghi. E' importante non enfatizzare troppo però tale funzione c.d. nomofilattica della Corte: poichè nel nostro ordinamento non vige il principio del precedente vincolante (stare decisis), perchè qualunque giudice, anche di primo grado, potrà fornire successivamente una interpretazione contrastante e opposta. Perlopiù non è raro che vi siano interpretazioni diverse e contrastanti in pronunce rese da diverse sezioni della stessa Cassazione.
Occorre una seconda precisazione a proposito del fatto concreto che ha originato la pronuncia in questione, la numero 4184 del 2012.
Nei Paesi Bassi (Olanda) il matrimonio fra coniugi dello stesso sesso è ammesso per legge fin dal 2001. Nell'anno successivo due uomini si sono sposati a L'Aja richiedendo, una volta tornati in Italia, la trascrizione del certificato di nozze nei registri di stato civile del comune di Latina dove risiedono. La trascrizione è un atto amministrativo che, secondo l'opinione dominante, non ha valore costitutivo (il matrimonio celebrato all'estero è valido in base al principio per cui la legge che regola l'atto è quella del luogo in cui fu posto in essere) bensì dichiarativo, ossia è comunque fondamentale per rendere l'atto opponibile ai terzi ed esercitare i diritti che da esso derivano anche in Italia.
Poichè la legge italiana non ammette il matrimonio omosessuale (il codice civile quando si riferisce al "marito" e alla "moglie", secondo una interpretazione assolutamente dominante, vuole parlare di un "uomo" e una "donna") e, inoltre, l'Italia si pone quale Paese assolutamente "retrogrado" nel processo di pluralizzazione delle forme matrimoniali che è invece in atto in numerosi paesi, l'ufficiale di stato civile ha negato tale trascrizione in conformità ad indicazioni ministeriali precise e manifesta contrarietà all'ordine pubblico italiano. Avverso tale decisione la coppia ha fatto ricorso prima al Tribunale e poi alla Corte d'Appello di Roma, perdendoli entrambi. 
Non demordendo essi hanno proposto ricorso in Cassazione. La Corte ha, sul piano processuale, confermato le decisioni dei giudici di I e II grado e quindi sancito in modo definitivo la non trascrivibilità del loro atto di matrimonio omosessuale celebrato all'estero. Tuttavia nel rigettare il ricorso ha motivato, in un gran numero di pagine, l'auspicio ad una revisione della giurisprudenza consolidata in materia di matrimoni tra persone dello stesso sesso, sancendo i "principi" di uguaglianza e diritto ad una omogeneità di trattamento e tutela che abbiamo scritto in apertura.
Due sono i fattori principali che giustificherebbero il cambiamento nel pensiero dei giudici della Corte. Il primo prettamente giuridico ed il secondo "sociologico".
Innanzitutto l'adesione dell'Italia alla Cedu (Convenzione europea dei diritti dell'uomo) ha comportato uno "stravolgimento" nel nostro ordinamento giuridico. Tale fonte normativa internazionale si colloca oggi ad un livello primario nella gerarchia dell'ordinamento, tant'è che, alla luce dell'articolo 117 comma 1 della Costituzione è possibile valutare la incostituzionalità di una legge italiana quando contrasta con tale Convenzione (le norme della Cedu vengono per questo definite anche "norme-parametro").
E' da tempo affermato anche il principio per cui le norme della Cedu vanno applicate così come interpretate dal "suo " giudice naturale, ossia la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo.
Ebbene l'articolo 12 della Cedu, che sancisce il "diritto al matrimonio", ha secondo l'interpretazione costante della Corte europea "privato di rilevanza giuridica le diversità di sesso dei nubendi"
Ragion per cui, secondo la Prima sezione della nostra Suprema Corte, anni di giurisprudenza secondo la quale la diversità di sesso è, insieme alla manifestazione della volontà, il requisito minimo "indispensabile" per "la stessa esistenza del matrimonio civile", non è più adeguata alla "attuale realtà giuridica" (che è oggi proprio quella che risulta dalla interpretazione della Corte di Strasburgo).  
Poichè la differenza di sessi non è più un pre-requisito "naturalistico" al matrimonio la conseguenza giuridica finale a cui perviene la Corte è che se il matrimonio omosessuale è intrascrivibile ciò non dipende più dalla sua "inesistenza" e neppure dallo sua "invalidità" ma unicamente dalla "inidoneità a produrre qualsiasi effetto giuridico nell'ordinamento italiano" che lo vieta. La conclusione, è dal punto di vista giuridico, sicuramente innovativa, di fatto non muta troppo le prospettive della coppie omosessuali in Italia (e in ogni caso, come affermato sopra, tale orientamento è stato espresso con riferimento a questo specifico caso e nulla assicura che sia mantenuto in futuro).
Più importante, forse, è il secondo fattore che traspare dalle parole e dal pensiero dei giudici: nella nostra società le spinte future andranno tutte nella direzione opposta a quella tenuta fin qui dal legislatore. Le coppie omosessuali sono in aumento anche in Italia e con esse, a fronte di divieti legislativi e assenza di aperture nemmeno con riguardo alle coppie di fatto, si moltiplicano i casi di contenzioso giurisdizionale aventi ad oggetto l'aspirazione a un riconoscimento di una loro dignità familiare, sociale e giuridica.
Ancora una volta i giudici, molto più vicini alla società, anticipano la legge. Ed, in questo caso, i giudici della Cassazione sono giudici di ultima istanza ossia (come avevamo già evidenziato in un altro articolo linkato sotto) più "rigidi" a recepire le innovazioni sociali rispetto a quelli di I grado.

Emblematico del fatto che anche le coppie gay hanno diritti fondamentali garantiti costituzionalmente che spingono verso una estensione di tutela, è l'affermazione della Corte per cui il diritto alla vita familiare di coppie omosessuali può essere da loro tutelato attraverso vie giurisdizionali. Essi hanno il diritto di "adire giudici comuni per far valere […] il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata" e, quello, eventualmente che siano sollevate "eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni vigenti […] nella parte in cui non assicurino detto trattamento" (ciò sarà eventualemente possibile, come abbiamo sottolineato, aggrappandosi all'articolo 117 c.1 Cost. e ad una contrarietà della legge italiana alla Cedu). 

Un articolo collegato per comprendere chi siano le voci più giovani del diritto, quali giudici abbiano i pensieri e gli spiriti più innovativi: Chi sono i giovani del diritto?

Vi proponiamo un articolo del blog riguardo il diritto matrimoniale, che si propone spesso come apri-pista ad un riconoscimento giuridico delle minoranze (stranieri, omosessuali) invocano per avere un proprio status più garantito: Diritto al matrimonio e condizione giuridica dello straniero in una recente sentenza della Consulta

Collegamento all'articolo de Il Sole 24 Ore, il più giuridicamente esaustivo nell'esporre la notizia lo potete trovare QUI

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2 commenti:

  1. Molto ben fatto, chiaro e completo, più degli articoli apparsi sui quotidiani..qualche giorno fa c'è stato il voto al Parlamento europeo sulla risoluzione "parità dei diritti fra uomo e donna" con il tentativo della destra (ma anche di esponenti socialisti e democratici, tra gli italiani Costa, Toia..) di cancellare il punto 7, relativo al "rammarico dell’adozione da parte di alcuni stati di definizioni restrittive di "famiglia" con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli". Si tratta comunque di una risoluzione, e in più se ne sottolinea la strumentalizzazione (secondo me, non del tutto infondata) per averci infilato questioni non strettamente legate all'oggetto.
    ste

    .

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  2. grazie del commento positivo sul nostro articolo. L'obiettivo che ci siamo, sin dall'inizio, prefissati è l'obiettivo dell'imparzialità e purtroppo i giornali, spesso, nell'aderire comunque ad una ideologia di fondo, non riescono a perseguirlo in modo consono per l'informazione.
    Riguardo alla risoluzione europea, qualsiasi sia il suo contenuto e prescindendo da ogni commento sul merito, si tratta comunque di un atto troppo poco incisivo per uniformare i diritti degli Stati membri dell'Ue e poco dettagliato per creare una comune opinione di fondo. Non ci tocca che aspettare per un futuro intervento legislativo, che sia interno (come la cassazione auspica), o sovranazionale!

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