mercoledì 21 marzo 2012

Qual'è la ratio del principio di autonomia della clausola compromissoria?

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L'arbitrato è un meccanismo di risoluzione delle liti contrattuali sempre più utilizzato e con il quale bisogna certamente confrontarsi nello studio del "processo" lato sensu inteso. Il motivo fondamentale del suo maggior utilizzo è dovuto al fatto che garantisce di pervenire ad una decisione con una celerità, ormai sconosciuta all'ordinario processo civile (si consideri una media di 2 anni per ottenere un lodo contro i 6 per una sentenza nel giudizio ordinario). Un grande motivo di ostacolo all'accesso generalizzato all'arbitrato è dato, per contro, dal suo costo ingente al punto che esso è, di solito, riservato ai rapporti fra imprese di grande valore commerciale. 
In linea generale, l'arbitrato è la scelta compiuta dalle parti in lite affinchè soggetti privati diversi dal giudice dello Stato la risolvano. Proprio dall'accordo delle parti trae legittimazione la possibilità che "altri" e non un magistrato giudichi sulla lite sancendo, con efficacia di sentenza, chi abbia ragione e chi torto. In particolare la cognizione e la decisione intorno al punto controverso sarà affidata ad un collegio arbitrale, composto di solito da tre membri nominati dalle parti stesse (o da terzi imparziali) secondo le regole stesse che le parti si sono date. La decisione degli arbitri si chiama lodo ed è oggi largamente equiparata ad una sentenza del giudice.
Ovviamente non tutte le liti sono "arbitrabili", lo sono solo quelle su diritti disponibili. Quindi, al di là di numerose incertezze che ancora sussistono intorno a tale definizione, cetamente lo sono quelle in tema di diritti di credito e obbligazioni nascenti da contratti.
La più recente riforma della disciplina contenuta negli articoli 806 e ss. del codice di procedura civile è datata anno 2006 e, ad oggi, due sono i tradizionali modi di accesso all'arbitrato: compromesso e clausola compromissoria.
Essi sono, di solito, distinti per alcuni profili rilevanti: con il compromesso le parti, a lite già tra loro insorta, decidono di devolverla ad arbitri derogando alle ordinarie regole di competenza. In questo caso essi stipulano un patto, un accordo ad hoc per la devoluzione di quella specifica lite; se invece le parti, in sede di redazione di un contratto, vi inseriscono una "postilla" (clausola) nella quale esprimono la loro comune volontà che, qualunque lite futura dovesse sorgere intorno a quel contratto, essa sarà devoluta ad arbitri, attuano il secondo modo di accesso all'arbitrato ossia una clausola compromissoria.
E' questa seconda modalità quella che è prevalentemente utilizzata nella prassi e riguardo ad essa si è, storicamente, posto un problema: cosa succede se il contratto, in cui tale clausola viene inserita, viene impugnato perchè si pensa che sia invalido? Nel caso sia invalido, lo sarebbe anche la clausola compromissoria, poichè contenuta in quel contratto? E quindi, se gli arbitri pronunciano un lodo questo è inesistente per mancanza dell'accordo che attribuiva loro la potestà di giudicare? Oppure il lodo arbitrale regge indipendementemente dalla validità del contratto e la validità della clausola compromissoria va certamente valutata se posta in discussione, ma alla stregua di parametri autonomi e diversi dal giudizio sulla validità del contratto?
Il problema aveva risvolti, oltre che concettuali, anche pratici importanti che riguardavano la sorte di un eventuale lodo che pronunciava la invalidità del contratto (cosa piuttosto comune). Considerando la clausola compromissoria invalida perchè inserita in un contratto invalido, l'attività degli arbitri sarebbe stata inutile. Bisognava rifare tutto davanti al giudice ordinario? Oppure il lodo vincolante, perchè la validità della clausola compromissoria non era inficiata dall'invalidità del contratto in cui era inserita?
Prima l'evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale e, oggi, la stessa legge sanciscono un principio importante, quello della cd autonomia della clausola compromissoria che risolve nel secondo senso l'interrogativo che ci siamo posti appena sopra.
Secondo l'articolo 808 comma 3 del CPC:
 "La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; (...)"
Quindi, se in un contratto è inserita una clausola compromissoria, saranno gli arbitri a doversi esprimere nel caso di contestazione della validità del contratto. Tale  competenza è loro attribuita dalla clausola stessa ed è proprio questo il suo scopo, ossia devolvere a soggetti diversi da giudici le varie controversie (anche in punto di validità) che riguardano il contratto.
In secondo luogo, saranno sempre gli arbitri a dover valutare l'invalidità eventuale della clausola compromissoria (es per mancanza della forma scritta ad substantiam o di altro requisito previsto dalla legge) in un giudizio autonomo. Invalidità della clausola compromissoria che non consegue mai automaticamente dall'invalidità del contratto.
Volendo riassumere le conseguenze di quanto detto, avremo: 
  1. potestas judicandi degli arbitri in ordine al giudizio di (in)validità del contratto;
  2. criteri del giudizio sulla (invalidità) della clausola compromissoria, che in virtù del principio di autonomia risultano essere, per definizione normativa, distinti e diversi da quelli concernenti il contratto.
Ma perchè è stato teorizzato e poi legificato tale principio di autonomia? Quale è la sua ratio? Lo "scopo" del principio di autonomia giustifica il trattamento differenziato, tra clausola e contratto in cui è inserita: "causa e oggetto della clausola compromissoria e i motivi del consenso (a questa) delle parti stanno del tutto indipendenti dalla funzione economica e giuridica del contratto che si vuol designare come principale".
Come chiaramente si esprime Francesco Carnelutti (uno dei più eminenti avvocati e giuristi della storia italiana e consigliere essenziale nella stesura del nostro Codice di procedura nel 1942): "è una precisa differenza di funzione e di struttura ... la distinzione tra il contratto e la clausola compromissoria; ... sotto la clausola compromissoria non vi sono affatto due interessi antitetici delle parti ... ma un interesse identico dell’una e dell’altra, rivolto a cercare il miglior giudice ...".  
Per queste differenze contratto e clausola devono essere valutati in modo differente in punto di validità: la clausola arbitrale ha la stessa causa (devolvere le eventuali liti future ad arbitri) che si ripete uguale per tutti i contratti in cui, di volta in volta, è inserita. E ciò indipendentemnte dal loro contenuto.

Per un recente articolo sull'applicabilità o meno dei principi costituzionali di imparzialità e indipendenza del giudice anche in arbitrato potete andare QUI

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