venerdì 16 novembre 2012

La "fiducia" dell'ordinamento negli individui



"Un criminale è un essere come gli altri, che in certe situazioni può diventare migliore nello stesso modo in cui voi e io possiamo, in date circostanze, diventare peggiori. Diamogli una possibilità. Non consideriamolo come un essere irreparabilmente nocivo, di cui bisogna sbarazzarsi a ogni costo. Quando il nostro corpo è ammalato non lo distruggiamo, cerchiamo di guarirlo. Perché dovremmo distruggere gli elementi malati della società, anziché curarli?"                                                                             Tenzin Gyatso (Dalai Lama)
In effetti è questa, nelle parole semplici di un non giurista, il senso profondo di tutta l'evoluzione della concezione della pena all'interno della nostra cultura giuridica.

La rilevanza del fine rieducativo della pena e, quindi, non più del fine meramente retributivo del danno che l'autore di un fatto antigiuridico ha causato alla sua vittima e alla società intera, si vede bene se guardiamo alla storia e al progressivo venir meno della pena di morte. 



Essa è stata abolita in Italia con la Costituzione del 1948 e l'argomento principale a sostegno di tale abolizione fu la prevalenza, fra i vari, del fine rieducativo della pena, la necessità in altri termini che la pena sia non solo uno strumento per infliggere una sofferenza ma anche il mezzo con cui dare una speranza di perdono e "nuova vita" a chi la subisce. 

Si capisce che nulla può essere tanto distante da una riabilitazione quanto una distruzione come quella provocata dalla morte: la pena capitale uccide e l'ucciso non può mai essere rieducato.

Grazie a questo stesso principio di fondo abbiamo assistito negli anni ad una riduzione delle ipotesi di ergastolo (il carcere a vita) anche esso contrastante con l'idea di un recupero del soggetto autore, all'abbassamento delle pene e alla introduzione di pene sostitutive a quelle detentive, quali il lavoro di pubblica utilità, col fine del recupero del soggetto.
Certo non possono esaurirsi così considerazioni sulla pena che riguardano ulteriori e non menzionati aspetti di rilievo, ma quello che vorrei evidenziare è che, perfino sotto il profilo penale (il più "crudele" tra i rami dell'ordinamento giuridico) credo si possa cogliere un profilo di costante e crescente fiducia nei singoli da parte dell'ordinamento. 
Un altro esempio di questa tendenza lo si può cogliere nella legge fallimentare la quale prevede oggi, a differenza del 1942, anno in cui fu varata, l'istituto della esdebitazione, ossia la cancellazione di tutti i debiti residui del fallito una volta che si sia chiuso il fallimento (se alcune condizioni piuttosto stringenti sono soddisfatte). 
Questo istituto presente da sempre negli Usa e oggi introdotto anche da noi consente di guardare al fallimento in generale in un'ottica differente rispetto al passato: non solo come una situazione negativa per il fallito ma anche come un "nuovo inizio". Così l'ordinamento riesce a distinguere tra coloro che hanno fatto impresa e ai quali "è andata male", fornendo loro uno strumento (il fallimento) che può essere attivato anche su loro richiesta e nel quale possono ottenere la esdebitazione, e coloro che invece hanno operato fuori dalle regole, non garantendo loro la medesima possibilità.
Al di là delle considerazioni specifiche che ineriscono alla materia del diritto fallimentare e alle difficoltà in concreto per ottenere l'esdebitazione (il che dimostra qualche remora alla innovazione da parte del nostro ordinamento) è importante considerare che questo cambiamento di prospettiva riguarda un momento centrale delle società economicamente avanzate, ossia la disciplina della crisi dell'impresa e quindi cosa succede all'imprenditore a cui "va male" l'iniziativa imprenditoriale. Si dimostra qui una aumentata fiducia dell'ordinamento nel singolo individuo in un settore molto rilevante. Anche qui il legislatore non vuole più distruggere l'imprenditore "onesto ma sfortunato" ma, anzi, vuole dargli una nuova possibilità.
La fiducia di cui parlo si può cogliere anche in altri campi della disciplina, ma per non aggravare troppo il discorso, credo che le conseguenze del reato e la disciplina della crisi delle imprese siano punti abbastanza nevralgici per metterla in evidenza in tutta la sua portata dirompente, anche se dotandola di contorni differenti. 
Questa fiducia che ci è data dal nostro legislatore è frutto di una mutata percezione sociale rispetto ai fenomeni in discorso? 
Non mi sembra. Ciò perché non è raro udire commenti inneggianti alla pena di morte o all'ergastolo, richieste di pene più severe nella legge e nei tribunali, nonché considerazioni sull'inefficacia preventiva del nostro sistema punitivo in generale. Anche il fallito da noi è ben lungi dall'essere visto come un imprenditore sfortunato ma è invece classificato tra i prototipi del ladro e del truffatore per antonomasia. 
Quello che mi sembra è che eventuali regole specifiche, come nel caso della esdebitazione, che introducono "di soppiatto" aspetti di maggiore fiducia nel singolo (anche quando ha errato pesantemente) da parte dell'ordinamento e della collettività, non siano altro che soddisfazioni di esigenze inconsce ed insite nella persona umana. 
Perciò in apertura l'aforisma mi è parso significativo: qui si tratta della fiducia che il bambino ottiene nei confronti dei genitori con lunga fatica e che, per un solo errore, può perdere in un istante. Questo il punto: non è giusto che la perda per sempre! Essa deve poter essere da lui ricostruita nel tempo. Ed è giusto che i genitori siano disposti a questo verso i loro figli e, se non lo sono, percepiamo come rigido e sbagliato il loro comportamento. Certamente, tanto più grave è la mancanza, tanto più lungo sarà il processo di ricostruzione. Così come in questo elementare rapporto familiare anche nel rapporto fra individuo ed ordinamento (che poi non è altro che il rapporto fra l'individuo e tutti gli altri che lo circondano) si sente l'esigenza di non precludere a nessuno la possibilità di ricostruirsi una fiducia. Dipenderà dalla sua volontà. 
Tutto questo è espressione di libertà, che altro non è se non il potere di scelta, in questo caso fra ricostruire o meno una fiducia degli altri in noi. Un sistema che non andasse verso tali direzione oltre ad essere incostituzionale sarebbe contrario all'animo umano perché, fin da quando siamo bambini, vogliamo tutti la possibilità di essere perdonati quando sbagliamo.

Vi segnaliamo un articolo denso di contenuti e che può aiutare a riflettere sul tema della pena: Beccaria e il paradosso della volontà di uccidere


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