lunedì 16 settembre 2013

La genesi del diritto commerciale

"Il diritto commerciale deve sempre corrispondere alle mutevoli esigenze della società" - Benvenuto Stracca

Oggi noi siamo abituati a parlare di diritto commerciale per riferirci a quell'insieme di regole di un ordinamento giuridico atte a regolamentare l'impresa (fulcro della attività economica in ogni parte del mondo) e tutto ciò che serve al suo funzionamento (istituti, soggetti rilevanti e procedure). All'interno del genus diritto commerciale siamo soliti distinguere una schiera di sottosistemi normativi specifici la cui regolamentazione eccezionale è pensata, per lo più, con riguardo al settore economico di riferimento. Abbiamo così il diritto societario, quello assicurativo, le regole poste per le aziende agricole nonché quelle pensate per le banche, le norme che si occupano dell'artigianato e della piccola media impresa e così via.
Tutti questi sono "contenuti" del "contenente" diritto commerciale che siamo soliti immaginare come un autonomo ramo dell'ordinamento giuridico (anche se in molte definizioni si trovi ancora scritto che esso è piuttosto un ramo, una branca del diritto privato).
Bisogna sottolineare però come questa concezione non esista da sempre ed, anzi, come essa si sia formata progressivamente nel corso della storia.


Nel diritto romano non esisteva un diritto commerciale distinto dal diritto civile. Con ciò non si vuole affermare che mancassero regole per i commerci ma piuttosto che esse non fossero costituite da un corpus di regole pensate e scritte per aumentare l'efficienza dei traffici. Nello ius civile o nello ius gentium si ritrovavano regole di diritto pensate per rapporti giuridici classici che venivano poi applicate anche ai rapporti giuridici fra mercanti.
Il motivo di questa indistinzione, nonostante il commercio fosse fiorente presso gli antichi romani, probabilmente è da ricercare, in primo luogo, nella assenza di un ceto sociale (dei mercanti) in grado di imporsi a livello di politica legislativa per ottenere regole più adatte alle loro esigenze concrete. A conferma di quanto detto si noti che il Corpus Iuris Civilis (527-565 d.C.) voluto dall'imperatore bizantino Giustiniano come raccolta e rielaborazione  di tutte le fonti romanistiche fin dall'età classica non contiene una disciplina dedicata al commercio.
Anche con l'avvento dei regni germanici nei territori romani dopo la caduta dell'Impero d'Occidente non si pervenne ad una innovazione delle regole che, anzi, subirono una decadenza. Il periodo dell'Alto Medioevo è caratterizzato infatti da una regressione sociale prima ancora che giuridica. I mercanti scompaiono sostanzialmente dal tessuto economico in un mondo in cui la ricchezza non circola più ed è rappresentata essenzialmente dalla terra e dalla produzione di beni destinati al fabbisogno locale. Le consuetudini germaniche non conoscono una regolamentazione degli affari eccettuati quelli più lineari e semplici.

Se noi vogliamo individuare il momento storico in cui si giunse a teorizzare una separazione concettuale fra la disciplina del commercio, applicabile ai mercanti (diritto commerciale), e quella di diritto privato in generale, applicabile a tutti i rapporti giuridici, possiamo individuare la metà del 1500. Infatti nel 1533 Benvenuto Stracca, considerato il fondatore del diritto commerciale, pubblicò la sua opera somma "De mercatura sive mercatore tractatus" nella quale, per primo, trattò il diritto commerciale come disciplina distinta dal diritto civile. Egli suddivise sistematicamente la disciplina in otto settori: le regole sul commercio in generale (dove sono contenute importanti definizioni, ad esempio quella di mercante); obblighi dei mercanti; capacità necessaria per essere mercante; ciò che può essere oggetto di commercio e ciò che invece, come ancora oggi si dice, è extra commercium; i contratti mercantili (ed esempio mandato, ipoteca, assicurazione); disciplina del commercio marittimo e, infine, cessazione della attività mercatoria (dove è contenuta la disciplina del fallimento).
Anche se le abbiamo solo rapidamente elencate, leggendo alcuni nomi si capisce quanto sia fondamentale la previsione di istituti e contratti specifici al servizio dei mercanti e della loro attività. L'importanza del diritto del commercio è dimostrato dal fatto che, durante i secoli successivi, queste categorie sono state continuamente rielaborate e ripensate nel nome di una maggiore efficienza del sistema economico: ad esempio attraverso l'aggiunta di nuovi istituti (creati dalla prassi e recepiti dal legislatore oppure direttamente imposti ex lege), l'eliminazione di quelli obsoleti o non funzionanti e il progressivo ampliamento dei settori interessati da una disciplina speciale. 
Inoltre merita un cenno il tentativo di uniformazione della disciplina commerciale a livello internazionale (c.d. lex mercatoria) attraverso la concertazione fra gli operatori sul mercato mondiale, che attraverso l'osservanza delle regole accettate dalla prassi, si auto-vincolano a rispettarle. Non a caso l'ultima grande riforma della normativa societaria italiana nel 2003 (ben cinque secoli dopo l'opera di Stracca) aveva come obiettivo primario quello di fornire regole migliori, che incentivassero "la nascita, la crescita e la competitività delle imprese sul mercato". Ed il termine "impresa" può senza problemi essere sostituito nella nostra elaborazione concettuale a quello dei "mercanti" che abbiamo fino ad ora richiamato.

Se Stracca può essere considerato (a ragione) colui che ha teorizzato la separazione concettuale del diritto commerciale dal diritto privato, da un punto di vista concreto egli non ha da solo inventato la normativa di cui stiamo parlando. Le origini della stessa e quindi le origini stesse del diritto commerciale noi le troviamo nel XII e XIII durante la età classica dei comuni italiani. Ebbene sì proprio in Italia, e non in altri Paesi oggi molto più importanti ed influenti a livello economico, nacquero degli istituti innovativi capaci di diffondersi e di venire importati in ogni altra parte del mondo. L'età comunale è così chiamata proprio perché caratterizzata dall'affermazione dei comuni come "città-stato" autonome dall'impero e dotate di numerose prerogative, tra cui importanti quella di emanare propri statuti con regole giuridiche e quella di avere dei propri magistrati elettivi (i consoli nel 1100 e il podestà a partire dal 1200). L'età comunale fu caratterizzata da grandi contraddizioni: odi tra fazioni all'interno dei comuni, lotte di potere tra le varie città e tra città e l'impero da una parte, una rinascita sociale e giuridica, vette urbanistiche e artistiche e, soprattutto, una intensa e rinata attività commerciale in tutta Europa dall'altra parte.
Dopo il periodo "nero" dell'Alto Medioevo (sopra descritto), il ceto dei mercanti rinacque e fiorì nei a partire dal 1100 per opera di una nuova classe sociale che acquisì sempre maggiore potere ed influenza all'interno dei comuni: la borghesia. L'attività mercantile riprese con vigore, nonostante i pericoli che uscire dai territori di una città comportasse. All'interno delle città si affermarono le corporazioni di mestiere, una per ogni arte, protagoniste della vita economica del comune ma anche della produzione giuridica dello stesso. Fu proprio grazie alle regole contenute negli statuti delle corporazioni e alla collaborazione stretta fra mercanti (che evidenziavano le loro esigenze) e notai (che cercavano di tradurre le stesse in istituti giuridici) che, in un contesto di innovazione giuridica che caratterizzò tutti i settori dell'ordinamento, dal diritto privato in generale alla concezione del reato e del processo penale, che istituti quali la società in accomandita (s.a.s.), il fallimento, le assicurazioni per i trasporti (anche marittimi), la cambiale (e altri titoli di credito), la disciplina del libri commerciali e altri vennero pensati e creati. Istituti che abbiamo ancora oggi e che costituiscono le radici del diritto commerciale per come lo intendiamo oggi.
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