mercoledì 10 aprile 2013

L'incendio del Reichstag punito in violazione del principio di irretrattività della pena

Se apriamo un qualunque manuale di diritto penale siamo certi di trovarvi all'inizio, dopo la menzione delle fonti, l'elencazione dei principi che governano questa materia e che, probabilmente ancora più rispetto ad altre, sono da ritenersi fondamentali. Il diritto penale riguarda infatti la sorte di diritti personalissimi delle persone ed è storicamente stato troppo spesso un meccanismo discrezionalmente posto al servizio delle autorità piuttosto che una fonte di affermazione della volontà sociale.
I principi che si sono venuti elaborando alle spalle di numerose applicazioni irrazionali delle norme penali, sostanziali e processuali, forniscono oggi, a tutti i cittadini (non solo ai ricchi), una cupola di protezione verso uno "Stato di polizia", verso amministrazioni autoritarie o magistrati arbitrari. Oggi noi abbiamo acquisito mentalmente tali norme di garanzia tant'è che problemi riguardo ad una loro violazione si pongono di solito in ambiti piuttosto tecnici. Ma non dobbiamo eccessivamente dare per scontato ciò che non è "naturalisticamente" indispensabile al funzionamento di una societas giuridica (primordiale). Ecco perché continuiamo a studiare i principi, necessariamente presenti in una civiltà evoluta, e le loro fonti.
Proprio di uno di questi, in particolare del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole, vorrei parlare brevemente e, in aggiunta, portare, a riprova dello sforzo continuo necessario per non perdere la funzionalità, un esempio di una sua famosa violazione storica.



La nostra Costituzione all'articolo 25 comma 2 recita con solennità la regola per cui in Italia "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". L'articolo 2 del codice penale riproduce analoga disposizione e aggiunge una serie di norme per la regolamentazione del fenomeno della successioni delle leggi nel tempo. Tale principio, della irretroattività della legge penale in malam partem, è riprodotto nelle carte fondamentali di quasi tutti gli Stati e nei trattati sovranazionali dei diritti civili.
Ma cosa significa, innanzitutto, la dizione "irretroattività in malam partem"? E perché è un principio irrinunciabile in uno stato di diritto?

Quando si dice che una legge non deve essere retroattiva significa che tale legge (una qualsiasi) ha effetto solo per il futuro e non per il passato. L'applicazione di una legge entrata in vigore oggi ad un caso concreto accaduto ieri è vietata. Questa regola generale di buon senso è tuttavia derogabile in molti campi giuridici, anche rilevanti (ad esempio nel diritto dei contratti), senza che ci si "scandalizzi" troppo. In tal caso basta che nella legge stessa espressamente si dichiari, in uno dei suoi periodi, che essa si applica anche ai casi passati affinché questi non sfuggano alle sue previsioni. 
In generale una legge retroattiva è una azione che possiamo definire, quantomeno, scorretta da parte del legislatore nei confronti dei cittadini. Questi ultimi agiscono in base al quadro delle leggi vigente al momento in cui decidono di compiere o meno un certo atto, di sottoscrivere o meno un certo contratto, ed una regolamentazione successiva dello stesso che lo rende magari meno vantaggioso non può che risultare ad essi sgradita: magari non lo avrebbero stipulato! 
Nel diritto penale questa ratio di certezza è grandemente amplificata per via del fatto che, come detto, esso coinvolge diritti personalissimi (come la libertà personale). In esso, con le previsioni dei reati, si stabilisce ciò che è lecito e ciò che non lo è e, nel secondo caso, sono fissate anche le pesanti conseguenze personali minacciate in caso di violazione. Quindi vi sono nel diritto penale, almeno, due profili di irretroattività fondamentali: il primo è che nessuno può essere punito per un fatto che, nel momento in cui l'ha commesso, non costituiva un reato. E il secondo è che nessuno può venire punito per un fatto con una pena più grave rispetto a quella che era per esso prevista quando l'ha commesso. La ratio del principio è, quindi, innanzitutto logica e consiste nella necessaria conoscenza delle conseguenze affinché si possano orientare i comportamenti di un cittadino: se uno decide volontariamente di violare la legge ed incorrere nelle conseguenze lo fa avendo in mente quelle conseguenze, non altre e più gravi.
Perciò tra i principi del diritto penale abbiamo l'articolo 25 della Costituzione. Esso tutela tutti noi dalle "bizze" del legislatore ed impedisce assolutamente che, in materia di reati e pene, il legislatore possa decidere che una legge penale più gravosa per l'accusato si applichi in modo retroattivo. La retroattività è sempre vietata.


Una delle più famose e controverse condanne pronunciate in violazione di questo principio fu quella di Marinus van der Lubbe. Egli, un esponente del comunismo operaio olandese catturato a Berlino con l'accusa di aver appiccato il fuoco che distrusse il Reichstag nel 1933, venne condannato a morte per alto tradimento ed ucciso nell'anno successivo.

Intorno a questo famosissimo incendio, che rappresentò un avvenimento centrale nel percorso di ascesa al potere di Adolf Hitler e dei nazisti in Germania, le incertezze storiche sono ancora irrisolte. Oggi gli studiosi sospettano, con maggior fondamento rispetto al passato, che la decisione di dare alle fiamme il parlamento tedesco fu assunta dallo stesso Hitler, che l'esecuzione del piano fu affidata ad agenti del partito nazista e che Van der Lubbe fu coinvolto da essi in qualche modo nella vicenda sfruttando la sua ambizione. In effetti Hitler ricevette un guadagno politico incommensurabile dall'incendio. All'epoca, probabilmente per abile manipolazione mediatica di Hermann Goring, la colpa dell'incendio fu addossata su Van der Lubbe (trovato sul posto) ed in generale sui comunisti. Ciò diede il via ad una violenta repressione contro il partito di sinistra che sfociò in atti di violenza, arresti dei capi di partito ed nell'impossibilità per gli stessi di partecipare ad una campagna elettorale effettiva. Nelle successive elezioni essi furono estromessi dal parlamento e Hitler vinse.
Al di là dell'oscurità e della contraddittorietà delle ricostruzioni storiche dell'evento principale vi sono, fra le vicende che seguirono, elementi giuridici da sottolineare come aberranti per il diritto (ma, d'altronde, anche grazie ad essi si instaurava una aberrante dittatura).
L'accusato, in primo luogo, confessò l'illecito sotto tortura e già in un recente articolo abbiamo evidenziato l'inaffidabilità di questo mezzo di ricerca della prova tendendo esso a condanne ingiuste per definizione.
Il secondo elemento si riferisce proprio ad una macroscopica violazione del principio di irretroattività: otto mesi dopo il fatto venne celebrato il processo a Marinus van der Lubbe che, riconosciuto colpevole in virtù della precedente confessione, fu condannato a morte per decapitazione. La condanna fu eseguita. Tale sentenza può essere definita tranquillamente un monstrum giuridico, infatti la pena di morte, assente nell'ordinamento tedesco di Weimar, era stata reintrodotta solo dopo l'avvenuto incendio (ossia il fatto di reato) e dopo l'arresto dell'accusato che quindi, pur se avesse agito effettivamente con dolo di danneggiare il parlamento, non avrebbe potuto essere condannato a morte essendo questa una pena sicuramente più grave di ogni altra che fosse stata in precedenza comminata per quel fatto. Per questo motivo tale condanna è stata dichiarata illegale nel 2008.  
Per inciso, in uno degli ultimi atti di uno Stato oramai destinato alla dittatura la medesima corte assolse, in quello storico processo del 1934, tutti i coimputati membri della dirigenza del partito comunista, confermando così la ragionevolezza delle speculazioni su una effettiva implicazione dei nazisti piuttosto che dei comunisti tedeschi nella vicenda.

Per il citato articolo che parla, tra l'altro, della tortura come mezzo di ricerca della prova per definizione "fallibile" ed ingiusto spiegandone le ragioni, potete leggere "La necessaria separazione dei ruoli nel processo!

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