Abbiamo parlato in un recente post della giuria popolare
spiegando cosa sia e quali siano i pregi nonché i difetti di questo
istituto tipico dei paesi anglosassoni e, nel tempo, importato anche da
noi anche se in forme diverse da quella tipica. Abbiamo ricordato come
spesso, in famosi film americani che narrano di processi, i giurati
siano destinatari di accalorate ed emozionanti arringhe degli avvocati
della difesa al fine di indirizzare la decisione della lite a favore del
proprio cliente.
Diversamente vorrei parlare oggi di un bellissimo film del 1957 che parla sì di giuria ma è interamente incentrato sull'attività dei giurati riuniti in camera di consiglio.
Il titolo originale del film, diretto da Sidney Lumet, è "12 angry man" che è stato tradotto in italiano con "La parola ai giurati".
Il titolo originale del film, diretto da Sidney Lumet, è "12 angry man" che è stato tradotto in italiano con "La parola ai giurati".
L'antefatto
iniziale è molto breve. Si intuisce che è stato svolto un processo
perché nella prima (ed unica scena del film ambientata fuori dalla
camera di consiglio) un giudice avverte i giurati che possono ritirarsi
per decidere avendo sentito tutte le testimonianze ed assistito ad ogni
fase processuale. Li invita inoltre a ponderare con cura la decisione
perché, nel caso che emettano un verdetto di colpevolezza per l'accusa di parricidio, la pena per l'imputato, un giovane italiano, sarà quella capitale.
Così
essi si riuniscono in una stanza e vengono lasciati soli. Tutti quanti,
per svariati motivi, non hanno elementi per dubitare della colpevolezza dell'accusato:
il caso sembra semplice e le prove schiaccianti. Indicono così una
prima votazione (necessaria è l'unanimità) convinti di un sicuro esito
favorevole, così da potersene tornare alle rispettive occupazioni con il
minor spreco di tempo possibile. In realtà uno del gruppo vota
"contrario" (è il giurato numero n.8 interpretato dal grande Henry Fonda) e compie questo atto sulla base di un "ragionevole dubbio"
che l'imputato sia innocente. Certamente, sostiene, le prove contro di
lui sono schiaccianti ma, dipendendo da quella decisione la
sopravvivenza di una vita umana, egli ritiene che la discussione non
possa essere liquidata in pochi minuti e meriti un dibattito più
approfondito. Gli altri sono, per lo più, infastiditi dall'imprevisto e
si scagliano contro chi non si conforma al gruppo maggioritario. Dopo
uno scambio di vedute, viene stabilito di procedere ad una seconda
votazione: il giurato n.8 acconsente a modificare il suo voto verso il
"si" nel caso in cui nessun'altro dei presenti avesse deciso di cambiare
il proprio.
Inaspettatamente
un'altro giurato, un anziano signore, modifica la propria scelta
iniziale (la situazione è ora di 10 a 2) condividendo la preoccupazione
del collega nel non emettere un verdetto affrettato.
Di
qui attraverso lo svolgersi del film il giurato n.8, architetto di
professione, riesce piano piano a persuadere tutti gli altri ad
assolvere il ragazzo accusato di omicidio.
Egli
dimostra, con la collaborazione di coloro che progressivamente si
schierano sul fronte dell'innocenza, che le principali prove contro
l'imputato (due testimonianze: una uditiva di un vecchio del
piano sovrastante l'appartamento in cui si è consumato il delitto e una
visiva di una donna che si trovava in una casa dell'altra parte della
strada) non sono così schiaccianti come sembrano e anzi sono frutto,
probabilmente, di travisazione e addirittura di menzogna. Lentamente
emerge che il processo è stato condotto in modo affrettato, e che
l'imputato è stato difeso da uno svogliato avvocato d'ufficio, il
quale ha trascurato aspetti essenziali della vicenda e non ha posto
domande fondamentali per chiarire la posizione del suo assistito.
Inoltre,
al di là dell'aspetto giuridico inerente alla valutazione della prova,
nel corso del dibattito vengono messi a nudo sentimenti di alcuni
giurati i quali non dovrebbero mai trovare spazio in una valutazione oggettiva quale
quella processuale (ad esempio pregiudizi razziali, influenze di
negativi rapporti personali tra padre e figlio o la fretta di decidere
dovuta a futili interessi come l'inizio di una partita di baseball).
Il verdetto finale è unanime: "Innocente!".
E così il film si chiude con una stretta di mano estasiata tra il
vecchio giurato che fu il primo a cambiare la sua opinione ed il giurato
numero 8 che fu il primo a "dubitare".
Il
film è uno straordinario esempio di come funzioni una giuria e di quali
siano i problemi concreti che si pongono ogni qualvolta persone molto
diverse vengono riunite in una stanza per prendere una decisione
rilevante. Inoltre ancor più dell'aspetto processuale è interessante qui
l'analisi della psicologia dei soggetti e, soprattutto, di come un
singolo sia in grado, da solo, di influenzare con successo l'opinione
dominante e modificare l'esito di una discussione collegiale sia
attraverso argomentazioni convincenti sia mediante quelle sottigliezze
psicologiche che sono innate abilità dei migliori oratori senza che le
abbiano necessariamente studiate.
Per l'articolo citato all'inizio, introduttivo alll'insituto della giuria, potete leggere La giuria popolare nel processo
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