"Un giorno andarono dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui..."
Bibbia, Libro dei Re,3,16
Nel mondo degli avvocati frequentemente
si usa la perifrasi “giudizio salomonico” per indicare una soluzione della lite che comporta
una divisione dell'oggetto della contesa in due parti uguali. Come
dire “dividiamo a metà e non se ne parli più”.
In realtà se, da un lato, questo modo
di dire è dal punto di vista storico corrispondente ad un famoso episodio biblico (il giudizio di Salomone appunto), dall'altro, tale corrispondenza è
solo apparente poiché, come vedremo, in quella situazione nulla
venne diviso a metà.
L'episodio a cui ci riferiamo è
contenuto nel primo Libro dei Re nell'Antico Testamento e
racconta di quando il re Salomone, chiamato a risolvere una
complicata controversia, si destreggiò abilmente riuscendo a rendere una sentenza ricordata dai posteri come esempio di vera giustizia,
quasi di “ispirazione divina”.
I fatti possono essere così
riassunti: in città due prostitute si presentano davanti al re, nelle
sue vesti di giudice, e ciascuna si afferma madre naturale di un
neonato. L'una accusa l'altra di averle sottratto il bambino dal
grembo durante la notte per sopperire alla perdita del proprio figlio
morto. La seconda si difende sostenendo che il bambino conteso è suo
figlio e che il morto è invece quello della prima donna. Il racconto del
giudizio ha un carattere marcatamente processuale sia perché delinea
chiaramente la difficoltà del giudizio (le due donne
vivono da sole in casa e non ci sono testimoni del fatto, il bambino
è appena nato e quindi non ci sono possibilità di identificare la
madre attraverso un confronto fisionomico, a quei tempi era assente qualsiasi
mezzo moderno per provare la filiazione come ad esempio la prova del
DNA) sia perché, seppur nella sua brevità, ha una cadenza
ripetitiva tipica del succedersi degli atti processuali in cui i
successivi spesso confermano o precisano i precedenti.
Il giudice non può non rendere una
decisione se richiesto (tranne per i casi di incompatibilità), è questo un principio generalissimo del
processo che trova il
fondamento nel ruolo sociale tipico di colui che giudica: dirimere le
controversie tra due soggetti che litigano a prescindere che queste presentino una soluzione facile
(perché provate chiaramente) o difficile (perché provate
indirettamente o non provate completamente). Negli ordinamenti
moderni l'osservanza di questo principio è garantita dalla presenza
di una regola di giudizio che consente al giudice di decidere in ogni
caso: la regola dell'onere della prova (da noi disciplinata nel
codice civile all'articolo 2697). Questa si può riassumere in questo
modo: ciò che uno afferma lo deve provare e, di conseguenza, se non ci riesce deve
sopportare il rischio della mancata prova e soccombe nel processo.
Applicata al caso di Salomone si potrebbe immaginare che la donna che accusa l'altra di averle rubato il figlio lo debba provare in
giudizio e, non riuscendovi, debba sopportare una decisione che
dichiara madre l'altra donna.
Tuttavia la regola citata è una
acquisizione successiva del progresso giuridico e non esisteva ai tempi di Salomone che quindi è sfidato a trovare un sistema
diverso per rendere una decisione equa. Egli, argutamente, adotta
quello che possiamo definire un “espediente istruttorio” dando
l'ordine che gli sia portata una spada. Il richiamo è
anche una chiara invocazione di un aiuto divino ispiratore di un corretto giudizio essendo Dio (e non l'uomo) l'unico che può, senza errare, distinguere il bene dal male.
Ottenuto lo spadone Salomone ordina che il bambino venga diviso a metà e che ne sia assegnata una parte a ciascuna delle due litiganti. A questo punto una donna, mossa dalla pietà per suo figlio, rinuncia alla sua pretesa e implora che l'altra lo tenga intero. Questa invece non si scompone e accetta di ottenerne la metà. Ecco che a questo punto, di fronte a tali opposte reazioni, Salomone decide e assegna tutto il bambino alla prima ragazza affermando che certamente è lei la vera madre del bambino.
Possiamo notare degli aspetti interessanti in questo giudizio antico ma molto moderno. Il primo è che, come anticipato in apertura, nessuna effettiva divisione viene realizzata in questo giudizio e che, perciò, il modo colloquiale di dire "giudizio salomonico" ha assunto un significato che trascende l'episodio biblico.
Il secondo aspetto interessante è che, in realtà, dal punto di vista della filiazione naturale questo contrasto di sentimenti e reazioni tra le litiganti nulla prova. Anche dopo l'espediente istruttorio di Salomone su chi sia la madre fisica ne sappiamo quanto prima: nulla. Tuttavia la diversa reazione delle due donne prova chiaramente qualcos'altro: chi sia la più meritevole per occuparsi del bambino (in quanto è colei che ha dimostrato compassione per la sua potenziale sorte e amore per lui). Il giudizio di Salomone risulta così analogo ad un moderno giudizio sulla assegnazione del minore in cui viene in rilievo il superiore interesse del minore che oscura il valore del vincolo di sangue.
Una terza e conclusiva considerazione, forse più maliziosa è che se la reazione psicologica della prima donna alla minaccia dell'uccisione del bambino è razionale, quella della seconda è assolutamente irrazionale per almeno due motivi: sia perché un sentimento di pietà avrebbe dovuto spingere qualsiasi donna (madre o non madre) a rinunciare alla sua pretesa pur di salvare una vita umana e sia perché, da un punto di vista processuale, è illogico che chi si afferma titolare di un qualcosa di indivisibile (un bambino) rinunci subito alla sua pretesa accontentandosi di una metà morta pur di placare, in questo caso, il sentimento di ingiustizia che la pervade per aver perso prematuramente il proprio figlio.
Nonostante queste incongruenze il giudizio di Salomone fu tramandato per secoli nella tradizione cristiana come un esempio limpido di giustizia ispirata da Dio ed applicata a un caso concreto. Esso è inoltre, come abbiamo evidenziato, sicuramente molto moderno e precursore di concetti (come il concetto di interesse del minore e meritevolezza per l'assegnazione) che solo più tardi si affermeranno come dominanti nel pensiero giuridico.
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