Anche una tra le più rigorose scienze, quale è il diritto, può ben scegliere di propria iniziativa di intaccare le sue certezze e scompaginare le più solide strutture, al fine di dar vita a qualcosa di nuovo e di talmente lontano da ciò che è sempre stato, da non poter essere categorizzato negli schemi precedenti. Quando occorre fornire delle risposte a nuove domande di giustizia e si presenta come impellente la necessità di un intervento statale, il legislatore ha tutti i poteri del caso per intervenire e come un mago far uscire dal cilindro uno spaurito coniglio bianco. Con il passare del tempo l'illegalità si cambia d'abito. Mutano i soggetti che la attuano, i veicoli con cui viene posta in essere e anche i suoi obiettivi. Il dovere di arginare le sacche di criminalità che invadono e pervadono un paese è in capo allo Stato, il quale ha da sempre il compito di predisporre nuove leggi che sappiano guidare la condotta dei propri cittadini e al contempo sanzionare chi viola le regole poste da esse. Di fronte quindi a fenomeni di criminalità dei c.d. colletti bianchi, di politiche aziendali volte all'illecito, non si poteva rimanere inerti. Dopo un invito da parte dell'Unione Europea a legiferare sul tema, il decreto legislativo 231 del 2001 è il risultato dei poteri magici del nostro legislatore.
Per la prima
volta è stata disciplinata la responsabilità amministrativa da reato degli enti dotati di
personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche senza
personalità giuridica. Sebbene la qualifica della
responsabilità e delle sanzioni che ne derivano sia indubbiamente
amministrativa, l'humus in cui la prima viene accertata e le seconde vengono
irrogate è indubbiamente penale. Societas delinquere non potest è sempre stato il
motto: le società non possono commettere reati e quindi essere punite
penalmente. Ma nonostante alle persone giuridiche manchi la fisicità di un
individuo e di conseguenza risulti impossibile limitarle in una libertà
personale che non possiedono (ad esempio con la pena del carcere), non mancano
i modi per poterle colpire nel loro patrimonio direttamente e anche
indirettamente, indirizzando la sanzione sull'esercizio della loro attività.
Con il decreto 231/2001 non si vuole colpire l'ente perchè nel suo seno una o
più persone fisiche hanno commesso un reato (es. corruzione o un reato
ambientale), ma perchè esso è stato il promotore, l'istigatore e il
beneficiario del reato compiuto da suoi dipendenti. La responsabilità dell'ente
sussiste infatti, e ce lo dice l'art. 5 del decreto, quando i reati sono stati commessi nel suo "interesse o vantaggio". Ecco il testo preciso:
"l'ente e' responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unita' organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonche' da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi."
Tra il reato della persona fisica e l'illecito amministrativo dell'ente sussiste un nesso fattuale unitario ed è per questo che il decreto de quo ha previsto che l'accertamento di entrambi sia svolto dal giudice penale competente per il reato da cui dipende la responsabilità dell'ente. Il decreto prevede un favor per la connessione e la riunione dei processi affinchè le indagini vengano svolte speditamente e si minimizzi il rischio di conflitto di giudicati.
Non entrando nel merito delle numerose novità apportate da questo decreto, le promiscuità che esso ha creato sono non di poco conto. Numerose sono infatti le lacune normative non colmate e i dubbi interpretativi sorti, perchè nel leggere le disposizioni di questo decreto ben presto ci si rende conto come il legislatore abbia creato qualcosa di strano. Non una magia, ma sicuramente una finzione agli occhi di noi destinatari. Perchè è solo con una fictio che un ente viene dotato di anima, pensiero e corpo, al fine di poterlo colpire e sanzionare. I precedenti dubbi di incostituzionalità della 231 per violazione del principio di personalità della responsabilità penale, sancito nell'art. 27 della Costituzione comma 1 ("la responsabilità penale è personale") e del principio di colpevolezza che ne deriva in via interpretativa (nulla poena sine colpa) sono stati superati. Ma può un ente commettere un reato? Può un ente autodeterminarsi nel suo agire e porre in essere delle condotte che violano precetti giuridici? Può un ente avere colpa? Ebbene si. Con la 231 può essere addebitata all'ente una colpa di "disorganizzazione", in altri termini un ente che non si è dotato di idonee regole interne, di protocolli di comportamento per tutti i suoi dipendenti, apicali o subordinati, che non ha vigilato su come venivano prese le decisioni o usati i soldi e fondi da parte dei suoi organi, si può ben dire che abbia agevolato (illecito di agevolazione), favorito la commissione dei reati. Proprio perchè l'ente è trattato come un soggetto diverso dall'individuo autore del reato la sua responsabilità è autonoma da quella penale dell'autore del reato. L'accertamento è diverso, così come sono diverse le sanzioni, che si articolano in sanzioni pecuniarie e interdittive (dall'esercizio dell'attività, revoca di autorizzazioni, licenze, finanziamenti, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, divieto di pubblicizzare). Scorrendo le norme della 231 ci si accorge come i poli che confliggono in ogni disposizione sono da una parte il profilo pubblico di giustizia e dall'altra parte il diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost). E' quest'ultima che viene limitata con le sanzioni ma è anche in virtù di questo diritto costituzionalmente riconosciuto che vengono concesse deroghe ai principi del nostro ordinamento. Frutto di un compromesso o di una magia non importa, il decreto 231 è sicuramente un coniglio bianco che esce dal cilindro, ma non affatto impaurito bensì fiero e autorevole capace di scardinare dogmi e certezze.
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