"Medea" è il titolo di una tragedia di Seneca che ricalca la struttura e la trama
dall’omonima opera teatrale di Euripide, esaltando al contempo gli aspetti
drammatici, morali e vendicativi di una protagonista - donna e maga - colpita
dal turbamento psicologico e dalla follia. Dolorosa è la storia raccontata e rappresentata sulla
scena, di cui cerchiamo di ricostruire un breve riassunto.
Giasone, figlio del re
di Iolco, dopo l'usurpazione del trono del padre da parte dello zio, parte alla
ricerca del vello d'oro per conto di quest'ultimo, che gli ha promesso di
riconsegnargli il regno una volta in possesso di tale oggetto. Allora Giasone
organizzata la famosa spedizione degli Argonauti inizia il suo viaggio con l'obiettivo
del vello d'oro, una pelle di montone custodita dal re della Colchide, Eete, e
protetta da un temibile drago. L'eroe giunto sul luogo, si accorge di dover
superare una serie di prove impossibili, il cui esito positivo è prospettabile
solo con l’aiuto di Medea, la figlia del re Eete.
Conquistato il vello, Giasone
decide quindi di scappare con lei, oramai perdutamente innamorata. Il padre e
il fratello li inseguiranno, ma con l’uso della magia Medea uccide suo
fratello, rallentando la rincorsa degli inseguitori e velocizzando la loro
fuga. Medea e Giasone si sposano e hanno due figli maschi, ma giunti a Corinto
egli si innamora di Creusa, la figlia del re Creonte. Medea, furiosa e impazzita,
capisce che non cʼè possibilità per
lei di riconquistare Giasone, e inizia a macchinare la sua vendetta. Il
re di Corinto conoscendo la terribile maga decide di esiliarla, per
allontanarla e cercare di prevenire ogni rischio di qualsiasi gesto criminale. Ma la furiosa donna con la scusa di non riuscire a trovar
sistemazione fuori Corinto posticipa di un giorno l’esilio, e proprio in questo breve arco di tempo vendica l’oltraggio subito. Innanzitutto decide di uccidere
Creusa: fingendosi benevola le fa arrivare una collana e una veste in dono che,
appena indossati, bruciano. Creonte, che vede la figlia in fiamme, nel
tentativo di abbracciarla per spegnere le fiamme, perde la vita bruciando anche
lui. Ma Medea decide di continuare la sua vendetta e, quindi, uccide i suoi due figli,
generati con Giasone.
La
tragedia teatrale termina con il bellissimo e incalzante dialogo tra Giasone e Medea, la
quale è in procinto di partire in esilio da Corinto, prima che lei commetta i suoi ultimi delitti. Di
notevole pregio dal punto di vista teatrale questo scambio di battute mette in
evidenza la lucida follia di una rea, che apre il suo cuore - così come quello
dello spettatore - con una confessione spassionata, in cui mette in evidenza
moventi, cause e motivi specifici dei suoi reati, colpevolizzando in primis il
suo interlocutore per i suoi gesti: egli è il vero responsabile dei
fatti da lei solo materialmente compiuti. Pare bizzarro rintracciare profili
processual-penalistici nelle parole di Medea, ma un attento lettore non può non
rimanere impressionato dai versi che qui seguono.
Medea: "Debbo fuggire, Giasone, fuggire. Non è una novità, per me, cambiare paese, la novità è nella causa. Prima fuggivo per te. Vado, sparisco. Questa donna, che costringi a lasciare la tua casa, da chi la mandi? Al regno di mio padre? Ai campi bagnati dal sangue di mio fratello? Quali terre mi ordini di raggiungere? Quali mari mi suggerisci? Ogni strada che ho aperto a te, a me l'ho chiusa. Dove mi mandi, allora? Tu costringi l'esule all'esilio, senza darle un luogo per l'esilio. Si parta, è il genero del re che lo ordina. Accetto tutto, io. Vuoi aggiungere qualche supplizio? Me lo sono meritato. L'ira del re calpesti con pene sanguinose questa donnaccia, le incateni i polsi, la seppellisca nella notte eterna di una rupe. Sarà sempre meno di ciò che merito. Essere ingrato, perché non lo ricordi, il toro dall'alito di fuoco? E i dardi del nemico che sorse d'un tratto dal suolo? Al mio cenno, i figli bellicosi della terra si diedero l'un l'altro la morte. E il vello d'oro, che tanto bramavi, dell'ariete di Frisso? Mettilo sul conto. E con lui il drago sempre vigile, i cui occhi io costrinsi al sonno, che a lui era sconosciuto. E anche l'assassinio di mio fratello, e tutti i delitti racchiusi in un solo delitto, e la frode con cui indussi le figlie di Pelia a squartare il vecchio genitore nella speranza che tornasse a vivere. Per cercare regni altrui ho abbandonato il mio. Per la speranza che nutri di avere altri figli, per il tuo focolare ormai sicuro, per tutti i mostri che ho vinto, per queste mani che per te non ho mai risparmiato, per tutti i pericoli che ho corso, per il cielo ed il mare che furono testimoni al nostro matrimonio, io ti prego di avere pietà. Rendi, tu che sei felice, ciò che devi a questa disperata. Fratello, padre, patria, anche il pudore: finito tutto! Con questa dote mi sono sposata. Rendimeli, i miei beni, ora che debbo fuggire."Giasone: "Creonte, che ti odia, voleva farti morire. L'esilio te l'ha concesso perché le mie lacrime l'hanno vinto."Medea: "L'esilio, credevo fosse una pena. No, è una grazia."Giasone: "Sinché sei in tempo, vattene di qui, mettiti in salvo. È dura, sempre, l'ira dei re."Medea:"Vuoi convincermi, ma lo fai per Creusa. Togli di mezzo una rivale odiosa."Giasone: "Medea mi rinfaccia l'amore?"Medea: "E il delitto, e l'inganno."Giasone: "Ma infine, quale delitto puoi rimproverarmi?"Medea: "Tutti quelli che ho commesso io."Giasone: "Non manca che questo, che ricada su di me anche la colpa dei tuoi delitti."Medea: "Sono tuoi, quei delitti, tuoi. Colpevole è chi ne trae vantaggio. Dicano pure, tutti, che tua moglie è infame, tu devi difenderla, tu solo, e da solo gridare che è innocente. Per te è senza colpa colei che per te è caduta in colpa."
"Cui
prodest scelus, is fecit" questa è la locuzione latina tratta dalle parole di Medea e ancora oggi usata e tradotta in questi termini: colui al quale il crimine porta vantaggi (a chi giova), egli l'ha compiuto. Il concetto espresso da Medea è alla base di ogni ricerca
investigativa: la scoperta di un possibile movente favorisce anche la scoperta
del colpevole, o comunque limita il numero dei sospettati.
E' proprio la domanda "a chi giova?" (cui prodest) il punto di partenza e l'interrogativo che ci si pone, quando si cerca
di scoprire chi sia l’autore o il promotore di un fatto (non necessariamente
delittuoso), nel presupposto che può esserlo soltanto chi se ne ripromette un
vantaggio per sé.
La ricerca di antichi brocardi, riassuntivi di concetti spesso ben più ampi, non è fine a sè stessa, perchè ricordarsi la trama e la storia da cui promanano queste locuzioni aiuta a portare alla mente il concetto di fondo che si vuole con essi esprimere. E l'utilizzo intra processuale di termini che esulano dal mondo giuridico è prassi abbastanza consueta. Questa tragedia, come abbiamo provato a spiegare in questo articolo, tra le più famose di tutti i tempi, non manca di aiutare anche il diritto nell'enunciazione dei suoi principi.
Collegamento ad un articolo che tratta sempre il mito antico e il suo stretto collegamento con i moderni concetti giuridici: Il principio della colpevolezza nell'Iliade e nell'Odissea
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