I diritti dei paesi angloamericani (c.d. diritti di common-law) sono sorti alle loro origini come diritti non scritti, in cui l'assenza di una legislazione generale e astratta era compensata da una giurisprudenza molto sviluppata, creatrice del diritto per analogia e interpretazione. Le classificazioni giuridiche hanno tradizionalmente contrapposto a tali ordinamenti i diritti dei paesi romanisti (c.d. diritti di civil-law) caratterizzati invece da un diritto codificato e scritto, la cui fonte di produzione primaria era la legge.
Questa basilare differenza è col tempo venuta meno (almeno per alcuni aspetti), poichè da una parte i paesi di common-law hanno legiferato e dato maggior importanza alle norme giuridiche scritte, mentre dall'altra i paesi di civil-law, di fronte all'inerzia di legislatori contraddittori e poco chiari, hanno ampliato gli interventi giurisprudenziali, in modo che da casi singoli e concreti si possano trarre o creare interpretazioni e applicazioni innovative del diritto.
Questo non completo avvicinamento non elimina del tutto l'influenza delle rispettive tradizioni nei vari istituti giuridici, tra i quali abbiamo scelto di soffermarci sul contratto. Vi è infatti una differenza nello stile di redazione dei contratti tra i paesi angloamericani e i paesi romanisti. Nei primi l'assenza per molti secoli di un diritto legiferato induceva le parti contraenti a stendere un testo contrattuale il più possibile analitico per prevedere ogni patologia e per evitare che i giudici potessero sindacarne il contenuto, l'equilibrio o i rimedi. Nei secondi la presenza di una analitica disciplina dei contratti nei codici legislativi induceva le parti a limitarsi a concordare i profili economici e gli aspetti particolari, nella convinzione che per il resto la disciplina sarebbe stata dettata in caso di necessità dalla legge.
Questo è ciò che accadeva nel passato, ma come abbiamo accennato prima le differenze tradizionali tra le due macro-categorie di diritti si sono assottigliate e oggi emerge un fenomeno peculiare, legato alla dimensione globale dei mercati, che porta il modello statunitense dei contratti al di fuori dei suoi confini. In molti paesi, tra cui l'Italia, i contratti seppur destinati a regolare rapporti interni allo Stato sono pensati e scritti sulla base di un modello del tutto estraneo all'ordinamento italiano che però, avendo una vocazione globale, circola in tutti i mercati mondiali (compreso il nostro). Molti contratti italiani sono così divenuti la traduzione di accordi statunitensi e prevedono la stessa aspirazione all'autosufficienza. Si tratta infatti di patti scritti in modo egregiamente completo, copiosi di clausole contrattuali, di definizioni e interpretazioni convenzionali, che mirano ad estromettere ogni intervento successivo, dovuto sia alla legge o sia al giudice.
Questo non completo avvicinamento non elimina del tutto l'influenza delle rispettive tradizioni nei vari istituti giuridici, tra i quali abbiamo scelto di soffermarci sul contratto. Vi è infatti una differenza nello stile di redazione dei contratti tra i paesi angloamericani e i paesi romanisti. Nei primi l'assenza per molti secoli di un diritto legiferato induceva le parti contraenti a stendere un testo contrattuale il più possibile analitico per prevedere ogni patologia e per evitare che i giudici potessero sindacarne il contenuto, l'equilibrio o i rimedi. Nei secondi la presenza di una analitica disciplina dei contratti nei codici legislativi induceva le parti a limitarsi a concordare i profili economici e gli aspetti particolari, nella convinzione che per il resto la disciplina sarebbe stata dettata in caso di necessità dalla legge.
Questo è ciò che accadeva nel passato, ma come abbiamo accennato prima le differenze tradizionali tra le due macro-categorie di diritti si sono assottigliate e oggi emerge un fenomeno peculiare, legato alla dimensione globale dei mercati, che porta il modello statunitense dei contratti al di fuori dei suoi confini. In molti paesi, tra cui l'Italia, i contratti seppur destinati a regolare rapporti interni allo Stato sono pensati e scritti sulla base di un modello del tutto estraneo all'ordinamento italiano che però, avendo una vocazione globale, circola in tutti i mercati mondiali (compreso il nostro). Molti contratti italiani sono così divenuti la traduzione di accordi statunitensi e prevedono la stessa aspirazione all'autosufficienza. Si tratta infatti di patti scritti in modo egregiamente completo, copiosi di clausole contrattuali, di definizioni e interpretazioni convenzionali, che mirano ad estromettere ogni intervento successivo, dovuto sia alla legge o sia al giudice.
Un fenomeno più specifico ma paradigmatico di questo incontro di tradizioni giuridiche, all'origine differenti ma col tempo sempre più simili e interconnesse, grazie al mercato, l'economia e la globalizzazione, è costituito dai c.d. "contratti alieni" (alius=altro, straniero ma anche alien=extraterrestre). Questi ultimi, figli della prassi contrattuale statunitense, ignorano il diritto italiano (e le norme codicistiche sul contratto in generale presenti nel nostro codice civile), sebbene contengano una clausola "Governing Law" che dice: "The law which governs this agreement is the law of the Republic of Italy" (dato che come spesso avviene sono scritti in inglese). Le case madri delle multinazionali trasmettono alle società figlie operanti nei sei continenti le condizioni generali predisposte nei contratti da concludere con una tassativa raccomandazione ossia che i testi contrattuali ricevano una pura e semplice trasposizione linguistica senza alcun adattamento al diritto locale, del singolo Stato, poichè ciò potrebbe compromettere l'uniformità internazionale. e compromettere l'uniformità internazionale.
Questi contratti che non hanno nazionalità, figli della prassi internazionale commerciale, aspirano quindi a non essere toccati da alcun diritto nazionale, poichè hanno la funzione - di non poco valore - di realizzare l'unità del diritto entro l'unità dei mercati.
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