Il c.d. decreto legge svuota-carceri (d.l. 211 del dicembre 2011) è stato convertito in legge martedì 14 febbraio. Esso venne emanato per porre tregua ad un accanito dibattito attorno alle indecenti condizioni nei penitenziari italiani (le carceri avevano infatti un numero di "ospiti" pari al 150% rispetto alla loro capienza complessiva). Da mesi politici, rappresentanti di organizzazioni per i diritti civili e persino il Presidente della Repubblica portavano avanti la protesta, manifestando la necessità che il governo intervenisse urgentemente con qualche soluzione a tale sovraffollamento e ai suicidi sempre più frequenti fra i detenuti. Lo svuota-carceri fu la risposta del governo a tali sollecitazioni.
Dopo la sua emanazione il dibattito non si placò, ma si spostò sul contenuto del decreto stesso da molti (ad esempio esponenti della Lega Nord e Italia dei Valori) considerato "criminogeno" o non realmente capace di risolvere i problemi. All'opposto molte altre forze politiche nonchè il governo nella figura del Ministro della Giustizia Severino hanno invece difeso il provvedimento dalle accuse di essere un indulto generalizzato e sostenendo la sua necessità per il rispetto dei più elementari diritti alla salute e dignità umana dei detenuti.
I punti del percorso giudiziario dove il decreto agisce per cercare di ridurre il sovraffollamento sono essenzialmente due: uno in fase di indagini e l'altro in fase di esecuzione della pena.
1. Il decreto modifica il codice di procedura penale per quanto riguarda la disciplina dell'arresto in flagranza di reato. Proprio il ministro Severino ha illustrato brevemente di cosa si tratti, affermando che "la prima parte del decreto incide sul fenomeno delle porte girevoli che comporta l'entrata-uscita di detenuti in carcere nell'arco di 3-5 giorni (in virtù delle norme sulla detenzione precautalare)". Ogni anno più di 20.000 soggetti entrano ed escono dal carcere per tale brevissimo lasso di tempo in attesa che il giudice prenda in considerazione il loro caso e si comprende quindi come sia un punto nevralgico dove poter intervenire per ridurre il numero dei detenuti. Tra l'altro, è bene sottolinearlo, queste persone vanno in prigione, inizialmente, sulla base di valutazioni della polizia e del pubblico ministero e non di giudici.
I correttivi adottati riguardo a questo profilo sono due: innanzitutto la traduzione in carcere diviene una eccezione per i reati assegnati alla competenza del tribunale in composizione monocratica. Quindi da un lato sono esclusi ex lege tutti i reati più gravi e dall'altro "eccezione" significa che "di regola" si evita il carcere ma è ben possibile una decisione differente (tramite un decreto motivato del pm) in caso di fatto particolarmente grave. E'fondamentale capire un concetto: dire si "evita il carcere" non vuol dire che quella stessa persona non potrà essere condannata ad andare in prigione se ha compiuto quel reato, ma significa che nella fase iniziale e primordiale del processo, quando ancora nulla è sicuro, lo si tiene, se possibile, presso gli uffici di polizia o in altro luogo idoneo fino a che non deciderà un giudice su di lui (nell'udienza di convalida dell'arresto).
Il secondo correttivo riguarda il tempo in cui il pubblico ministero deve presentare l'arrestato in flagranza a disposizione del giudice del dibattimento affinchè quest'ultimo proceda a giudizio direttissimo (un rito speciale previsto dal nostro codice per accelerare lo svolgimento del processo) sempre che ricorrano i presupposti previsti dalla legge.
Con il nuovo regime si prevede che il giudizio direttissimo debba essere necessariamente tenuto entro, e non oltre, le quarantotto ore dall'arresto, non essendo più consentito al giudice di fissare l'udienza nelle successive quarantotto ore (cioè a entro 96 ore dall'arresto). La conseguenza ipotizzata è che i detenuti in attesa di giudizio direttissimo ci rimangano di meno con conseguente diminuzione del numero complessivo dei detenuti.
2. Per la fase esecutiva (dopo un processo definito conclusosi con una sentenza di condanna ad un certo tempo di reclusione in carcere) il decreto prevede l'innalzamento da dodici a diciotto mesi della pena detentiva che può essere scontata presso il domicilio del condannato anziché in carcere. Quindi se un soggetto viene condannato a 18 mesi o meno di prigione gli può venire applicata la pena della detenzione domiciliare oppure può essere "spostato" dalla prigione agli arresti domiciliari per l'ultimo anno e mezzo di pena che gli resta da scontare. La conseguenza sul piano della diminuzione del sovraffollamento carcerario è di tutta evidenza. Inoltre non sembra che vengano frustrate le esigenze di giustizia della collettività poichè da un lato il soggetto deve in ogni caso scontare una pena restrittiva della libertà personale e dall'altro rimangono espressamente escluse situazioni che connotano "gravità" indipendentemente dalla pena in concreto inflitta.
La detenzione presso il domicilio, infatti, non é applicabile ex lege ai soggetti condannati per delitti gravi (terrorismo, mafia, traffico di stupefacenti, omicidio, violenza sessuale di gruppo), ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare. Inoltre può non applicarsi, a seguito di una valutazione da parte del giudice, nei casi di concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti ovvero quando non sussista l'idoneità e l'effettività del domicilio anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.
Proprio questa assenza di automatismi (analoga al contenuto della eccezione sopra ricordata in caso di arresto in flagranza) è sottolineata come un punto fondamentale a favore del suo decreto da parte della Severino: "Nessun automatismo, è sufficiente leggere il decreto per rendersi conto che nessuno dei provvedimenti in esso indicati deriva da automatismi o presunzioni. In ogni caso vi sarà un magistrato a valutare se la persona sia o meno meritevole di una modifica migliorativa del suo stato di limitazione della libertà".
E' questo in effetti un punto fondamentale per distinguere le misure di questo decreto da una legge di indulto. Queste ultime leggi, assolutamente negative e frustranti le esigenze di giustizia penale dei cittadini (spesso emanate in Italia, l'ultima nel 2006). L'indulto consiste, infatti, in un provvedimento generale che causa l'estinzione generalizzata della pena (ad esempio per tutti coloro che sono stati condannati fino a 2 anni di reclusione) e, quindi, la conseguente uscita dal carcere automatica di tali soggetti. L'indulto è (o dovrebbe essere) ispirato in origine a ragioni di opportunità politica e pacificazione sociale, ma si rivela spesso strumento per sfollare le carceri stracolme ed è percepito negativamente dal popolo.
Postulato il fatto che la situazione era urgente e bisognava intervenire, il decreto ha cercato di bilanciare la diminuzione del numero dei detenuti con la tutela della certezza del diritto e della pena (principi essenziali del nostro sistema penale) adottando misure volte a diminuire sì i carcerati ma, a differenza di un indulto, con nutrite eccezioni che consentono una valutazione caso per caso da parte dei giudici e una assenza di automatismi e generalizzazione.
Si aggiunga che quello delineato dal decreto è un sitema che va oltre l'idea di diminuire il numero dei detenuti nel breve periodo (come avviene per l'indulto) ma, se dovesse funzionare, è un sistema che sarà valido nel tempo. Si adotta cioè una prospettiva di soluzione continuativa e nel lungo periodo rispetto ad una "pezza" temporanea.
Concludo con le efficaci parole del ministro: "Mi sono sempre assunta le mie responsabilità. L'ho fatto quando ero avvocato, lo faccio ora, a maggior ragione, da Ministro. Se mi sento responsabile per questo decreto? Certo, mi sento responsabile davanti agli italiani, che spero si leggano il provvedimento invece di credere agli allarmismi di qualcuno, ma mi sento molto più responsabile quando vengo a sapere dei suicidi in carcere...".
Un articolo del blog attinente alla tematica delle carceri italiane, riguarda la proposta del nostro attuale governo tecnico di riaprire degli istituti non più utilizzati: Novità del governo tecnico per una maggiore effettività dell'art. 41-bis
Un articolo del blog attinente alla tematica delle carceri italiane, riguarda la proposta del nostro attuale governo tecnico di riaprire degli istituti non più utilizzati: Novità del governo tecnico per una maggiore effettività dell'art. 41-bis
Se vi è piaciuto l'articolo non dimenticate di aderire gratuitamente al feed di Leggendoci per rimanere sempre aggiornati sul nostro blog!
Indietro alla pagina Temi giuridici
Nessun commento:
Posta un commento