Il diritto, sia che venga considerato una scienza quale la fisica con le sue regole fisse, sia che venga immaginato come una forma d'arte quale la letteratura con le sue regole interpretative e critiche, è in ogni caso un prodotto dell'essere umano. La definizione di diritto, da non confondere con la mera legge, è sempre stata oggetto di dibattito nel corso della storia.
Il modernismo giuridico degli inizi XX secolo, similmente all'Illuminismo, aveva fiducia nelle capacità della logica e della ragione umana di risolvere i problemi giuridici e sociali. Il diritto era considerato un sistema completo, formale e ordinato, capace di soddisfare i parametri dell'oggettività e della coerenza. Questo modo di pensare al diritto, anche detto formalismo giuridico, credeva in un sistema in grado di dare risposte logicamente corrette tramite l'applicazione di principi astratti e categorie generali ad ogni caso concreto. Il diritto era considerato inalterabile dal contesto sociale ed economico: acontestualizzato e avalutativo.
I giuristi modernisti si escludevano dal procedimento di interpretazione per tutelare la credenza in un diritto autonomo, possedente principi immutabili superiori, immuni dalla natura mutevole della società e dalla prospettiva soggettiva dell'interprete. Il diritto era simile ad una scienza con regole precise e l'analista, lo studioso era un semplice strumento nel processo di scoperta dell'ordine oggettivo del diritto, ossia delle regole già esistenti e perfette utili per risolvere un caso pratico. Il giudice era la "bocca della legge" secondo Montesquieu.
Il modernismo giuridico degli inizi XX secolo, similmente all'Illuminismo, aveva fiducia nelle capacità della logica e della ragione umana di risolvere i problemi giuridici e sociali. Il diritto era considerato un sistema completo, formale e ordinato, capace di soddisfare i parametri dell'oggettività e della coerenza. Questo modo di pensare al diritto, anche detto formalismo giuridico, credeva in un sistema in grado di dare risposte logicamente corrette tramite l'applicazione di principi astratti e categorie generali ad ogni caso concreto. Il diritto era considerato inalterabile dal contesto sociale ed economico: acontestualizzato e avalutativo.
I giuristi modernisti si escludevano dal procedimento di interpretazione per tutelare la credenza in un diritto autonomo, possedente principi immutabili superiori, immuni dalla natura mutevole della società e dalla prospettiva soggettiva dell'interprete. Il diritto era simile ad una scienza con regole precise e l'analista, lo studioso era un semplice strumento nel processo di scoperta dell'ordine oggettivo del diritto, ossia delle regole già esistenti e perfette utili per risolvere un caso pratico. Il giudice era la "bocca della legge" secondo Montesquieu.
Ma, ad un certo punto, l'"età della fede" finì per lasciar posto alla "età dell'inquietudine". Una crisi più generale nelle discipline intellettuali come la letteratura, la filosofia, le scienze sociali e il diritto provocò inquietudine circa la possibilità di sostenere i progetti e gli obiettivi dei modernisti. Iniziò così l'era del postmodernismo che vide come primo segnale di allontanamento dalle precedenti concezioni l'analisi del binomio diritto e società. E proprio la cancellazione del confine tra diritto e società, centrale per l'idea di un diritto autonomo, provocò una crisi nelle accademie e scuole di diritto. Quello che i modernisti non avevano capito era che da una parte la società influenza, modifica ed evolve il diritto e che, dall'altra parte, anche il diritto contribuisce alla costruzione della realtà sociale. Se la società non è omogenea, un diritto oggettivo, tradizionale ed immutabile non è capace di fornire le soluzioni corrette ai nuovi problemi. E allo stesso modo la fede nei principi assoluti e diritti fondamentali perde significato, ogni volta che si presenta come problematica la scelta su quali siano i diritti soggettivi che devono prevalere sugli altri.
Alle fine del XX secolo non si poteva più prescindere dal concetto di reciprocità di diritto e cultura. Le soluzioni giuridiche efficaci dovevano essere relative al contesto e il processo decisionale non poteva essere avalutativo e fatto dipendere da regole generali. Per giungere a delle risposte a problemi giuridici e sociali si doveva consentire ai giudici di accedere alle scelte di valore, sebbene i postmodernisti vedessero con scetticismo la tesi di una risposta "corretta" nel diritto.
Se non c'è un consenso sociale "fuori", è difficile per il diritto appellarsi allo stesso quando è chiamato a decidere. La mancanza di valori comuni si rispecchia inevitabilmente su una maggiore instabilità del diritto che perde il suo ideale di certezza e si vede costretto ad essere interpretato per ovviare alle sue lacune e alla sua arretratezza.
Il diritto non è più autoreferenziale, non è autonomo o oggettivo e non può sempre essere coerente.
Lon Fuller, giurista del Novecento, spiegò il rapporto di diritto e società con una metafora, figura retorica non usata solo in ambito letterario ma anche in ambito giuridico. Egli disse che il rapporto diritto-società era come quello delle due lame di un paio di forbici. Se ci sofferma solamente sulla lama del diritto, come formalisti giuridici erano propensi a fare, non si riuscirà a vedere il contributo della società nel tagliare. Il rapporto diritto-società è come il rapporto diritto-vita e per questo si rendono necessarie considerazioni non solo tecniche ma anche extra-legali nel procedimento decisionale.
Per un articolo che propone un'interessante esempio pratico di quanto è stato teoricamente esposto poco sopra, ossia di come la società influenzi il diritto e lo modifichi addirittura a livello di scelte legislative, potete leggere: "L'evoluzione della società e del diritto: il reato di bestemmia"
Per un articolo che propone un'interessante esempio pratico di quanto è stato teoricamente esposto poco sopra, ossia di come la società influenzi il diritto e lo modifichi addirittura a livello di scelte legislative, potete leggere: "L'evoluzione della società e del diritto: il reato di bestemmia"
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