"Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro possibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra." (Gen. 11, 1-9)
Quando il legislatore decide di prendere carta e penna al fine di adempiere al suo primario e originario compito non può prescindere dalla considerazione dei tempi, e in particolare, del contesto sociale in cui si trova. Affinché le leggi, frutto del suo lavoro, abbiano una qualche utilità, deve calare il suo sguardo osservatore su ciò che lo circonda, per comprendere appunto come dar vita a norme giuridiche che, da una parte, sappiano rispondere alle esigenze provenienti dal basso e, dall'altra parte, siano in grado di contemperare le diversità di interessi nascenti. La difficoltà più ardua è riuscire a bilanciare proprio questi ultimi. Maggioranze e minoranze sono tutte portatrici di interessi, spesso confliggenti, che abbisognano di tutela e giustizia in modo paritario e starà al legislatore, infatti, decidere l'an ed il quomodo darvi risposta.
Sicuramente nella società attuale uno dei problemi più gravi, cui i legislatori devono far fronte, è il fenomeno del multiculturalismo. Si tratta di un qualcosa di nuovo oppure di un déjà vu? La differenza cui si deve partire, per iniziare il nostro discorso, riguarda i concetti di pluralismo e multiculturalismo. Mentre il primo fenomeno è noto sia alla storia sia alle società che lo hanno vissuto, il secondo si presenta come un problema attuale e del tutto aperto. Il pluralismo era, ed è, una caratteristica di quelle società in cui convivono gruppi diversi, per religione, per opinioni politiche, appartenenti però ad una medesima storia, ad uno stesso mondo. I cattolici esistono e si definiscono tali, per contrapporsi proprio a chi cattolico non è. Ma, seppur diversamente credenti, i cattolici, i protestanti, gli atei o gli agnostici condividono una medesima cultura storica. In altri termini ogni gruppo si definisce, quindi, per differenziazione dall'altro. Il multiculturalismo è, per converso, caratterizzato dalla coesistenza di più gruppi provenienti, però, da mondi diversi e autonomi, in quanto non hanno bisogno di altrettanti gruppi da sè diversi per esistere. Si pensi al popolo cinese e al suo modo di vita autonomo all'interno di qualsiasi società. Come possono più mondi culturali, che originano da fonti e storie lontane, convivere all'interno di uno stesso territorio, hic et nunc? Ciò che occorre creare è un equilibrio di giustizia, intesa in senso lato: giustizia della politica, dell'economia e della cultura. Solo con un buon bilanciamento di questi tre fattori, che rappresentano gli elementi basilari di ogni società, si può aspirare alla convivenza in un mondo multiculturale. Ma, vediamo nel concreto, quali sono le risposte, legislative e sociali, che ogni paese attua per affrontare questo odierno fenomeno. Esse sono tre: separazione, integrazione, interazione. La risposta separatista è quella tipica dell'apartheid in Sudafrica e del "separeted but equal" negli Stati Uniti. E ad essa molti legislatori si rifanno per realizzare soluzioni governative, basti pensare all'istituzione di classi scolastiche diversificate in base alla provenienza degli alunni (un'idea nata, ma per fortuna non attuata, anche nelle menti di qualche politico italiano). Anche il ghetto è il frutto di idee separatiste, così come la differenziazione dei trasporti (bus per autoctoni e bus per immigrati). Gli Stati Uniti, che hanno dovuto affrontare ben prima di noi il problema del multiculturalismo, hanno abbandonato la teoria separatista nel 1956, dopo una famosissima sentenza della Corte Suprema (caso Brown), per accogliere la più moderna teoria integrazionista. Attraverso il c.d. doll test (è stato chiesto a delle bambine americane di colore messe davanti a decine di bambole, sia bianche sia nere, di scegliere la bambola che desideravano, e la stragrande maggioranze ha scelto le bambole bianche) si è capito che tipo di frustrazioni ingerenerasse la politica della separazione e di apprezzare quando fosse regressiva e follemente discriminatoria. La seconda risposta è appunto l'integrazione, ma anche questa presenta conseguenze, ma prima ancora punti di partenza non del tutto sani. Tale teoria comporta un accoglimento delle minoranze, ma a patto che esse si adattino, si integrino alla maggioranza della popolazione. Gli integrandi devono essere, in altri termini, disposti ad integrarsi altrimenti non verranno accettati. Concetto simile è l'assimilazione, che porta all'omologazione e all'estinzione delle differenze. Si tratta di un movimento strutturalmente unilaterale: le classi deboli si integrano a quelle forti, ma senza alcun flusso contrario. L'integrazione, riassumendo, non vuole muri e separazioni, ma porta comunque ad una diversificazione di classi all'interno di una formale convivenza pacifica. La terza soluzione dell'interazione vuole invece raggiungere l'obiettivo di una convivenza basata sul confronto reciproco, affinchè ci siano scambi osmotici tra le diverse culture, senza giungere alla negativa omologazione e annientamento di quelle deboli o minoritarie.
La scelta della separazione, integrazione o interazione implica forti conseguenze politiche, amministrative e giuridiche, a seconda del tipo di visuale e di comportamento che si è scelto di tenere. Ma quali sono i concetti etici che stanno dietro a queste tre soluzioni cosi diverse? Sicuramente la prima teoria è fomentata da idee razziste, di allontanamento ed eliminazione, mentre la seconda da etiche di prevaricazione ed omologazione. La terza teoria sembra essere portatrice dell'atteggiamento più umile. E' l'unica che non si fornisce un risultato prestabilito, mentre sia la separazione che l'integrazione sanno a priori cosa vogliono, l'interazione non sa come andrà a finire, bensì si impegna in un confronto reciproco ed è disposta al cambiamento. Probabilmente l'idea che sta alla base di quest'ultima risposta al multiculturalismo è l'idea di libertà e di democrazia. Solo con modi di pensare, di vedere e di vivere aperti ci può essere convivenza e persino un miglioramento della propria identità.
Per concludere riprendiamo il passo della Genesi citato all'inizio.
La torre fu costruita, secondo il racconto biblico, in Mesopotamia con l'intenzione di arrivare al cielo e dunque a Dio. All'epoca gli uomini parlavano tutti la medesima lingua, ma Dio creò scompiglio nelle genti e, facendo in modo che le persone parlassero lingue diverse e non si capissero più, impedì che la costruzione della torre venisse portata a termine. La narrazione, spesso interpretata allegoricamente come punizione divina per un atto di superbia dell’uomo, è da leggersi in modo positivo sia come la spiegazione del progetto di Dio affinché gli uomini si dividessero la Terra e la popolassero, sia dell'origine mitologica delle differenze di linguaggio tra gli uomini. Perchè non interpretare l'episodio della Torre di Babele come un dono che Dio ha fatto all'uomo? Il dono del muticulturalismo e delle differenze, affinchè non siano motivi di scontro bensì strumenti di apprendimento.
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Apprezzo molto la chiarezza e l'interesse
RispondiEliminadi un articolo su un argomento così complesso. Complimenti!
Anna